Intervista (impossibile) a Ondina Valla
Nella sua bella casa di Pescara, tranquilla e sobria, ci riceve la signora Valla, detta Ondina, una vera icona dell’Atletica Leggera italiana del passato che non tutti, ahinoi, conosciamo a dovere. E così, ci apprestiamo a realizzare questa intervista come se volessimo chiederle scusa a nome di tutti gli italiani, ma soprattutto delle italiane.
Ci dica, perché si diede all’Atletica?
Ero una ragazza intraprendente, questo è certo. Avevo il mio caratterino, in un Italia che anche a me, semplice ragazzina, sembrava un po’ retrograda e troppo maschilista. Ed io, che ero quello che si dice un “maschiaccio”, volevo fare le cose che facevano i maschi. Avevo anche letto di Eugene Sue, di Virginia Wolff, insomma, mi sentivo libera di osare, di fare cose, come oggi si dice, di speciale. La mia stessa famiglia sembrava favorire il mio carattere. Mio padre volle chiamarmi Trebisonda, in onore alla omonima a città turca da lui ritenuta la più bella del mondo. “Ondina” è un diminutivo che proviene da un’errata trascrizione di un giornalista. Perché mi misi in luce giovanissima, ai campionati studenteschi di Bologna.
Alle Olimpiadi di Berlino, nel 1936, lei stupì…
Eh sì, stupii anche me stessa…, la prima donna italiana a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi…, anche se sapevo di ben valere. Vinsi l’oro negli 80 ostacoli, ma in semifinale stabilii anche il record del mondo! In quella stessa Olimpiade, diedi un buon contributo anche alla staffetta 4×100, giungendo in finale al quarto posto.
Non ha ricevuto, però, tanti riconoscimenti…
Bologna, avrei preferito “Cavallerizza”, ma mi dicono che non esiste… Scherzi a parte, al mio rientro in Italia, dopo quella Olimpiade, il “regime” glorificò abbastanza la mia impresa. Venni indicata come il modello della donna italiana, tenace e volitiva, in linea con gli ideali di una nazione forte, in grado d’imporre la sua egemonia nel mondo intero. Venni perfino definita e conosciuta come “il sole in un sorriso”, che mi sembra un bellissimo riconoscimento. Fu con la caduta del Fascismo, con il voler dimenticare tutte le sue cose, che iniziò un mio certo oblio… Passò quasi inosservato, ad esempio, che il mio record nazionale di salto in alto resistette fino al 1955.
Ma lei si riprese…, abbracciando la lotta del femminismo…
Esattamente. Ed ero anche più che convinta di quando gareggiavo. Qualcuno disse che gli 80 ostacoli erano proprio la gara delle donne: rapide e capaci nel superare gli ostacoli della vita. Era vero, ed io cercavo di trasmettere, in concreto a tutte le donne, che siamo il fulcro della società, che siamo forse anche storicamente abituate a superare in velocità tutti gli ostacoli che la vita oppone alla nostra esistenza. E che questo lo facciamo più e meglio dei maschi, e che non è affatto giusto che noi si resti relegate nell’angolo di casa, al focolare e via discorrendo. La donna deve uscire dal guscio domestico (dove il maschio vorrebbe relegarla) e partecipare attivamente alla vita sociale in tutti i suoi aspetti, perché ha tutte le carte in regola per farlo.
Ondina Valla (Bologna, 20-5-1916 – L’Aquila, 16-10-2006).