Giudici, notai delle gare
Non c’è gara ufficiale se non ci sono i giudici. Non è riconosciuto nessun risultato se non lo attestano i giudici. I giudici sono i notai delle gare. Ma chi sono i giudici? Cosa fanno, come si formano, come si diventa? Perché si diventa? Ce li ritroviamo sempre attorno, in ogni gara, su strada o su pista: occupiamocene.
Un po’ di storia. La prima organizzazione dei giudici, la Amateur Athletic Association, nacque in Inghilterra, nel 1880. Fino ad allora, i giudici erano persone dell’alta borghesia, o nobili, che dall’alto del loro prestigio sociale sancivano i risultati. Un po’ come avveniva negli antichi giochi di Olimpia, quando i giudici erano persone di grande carisma alle quali si riconosceva l’estrema correttezza delle funzioni. Fu il francese Pierre de Coubertin, nella prima edizione dei giochi olimpici di Atene, a volere fortemente la presenza attiva dei giudici alle gare.
Si sentì presto l’esigenza di riunire tutte le federazioni nazionali in un unico organismo e così nacque la IAAF, nel 1912, in occasione dei giochi olimpici di Stoccolma.
Per quanto riguarda l’Italia, il gruppo giudici di gare (GGG) della FIDAL venne fondato nel 1936.
Funzioni e compiti dei giudici. In Italia, i giudici sono inquadrati nel Gruppo Giudici Gare (GGG), quale organismo della Federazione FIDAL. Tale organismo ha il compito di controllare le manifestazioni di atletica leggera, in completa autonomia giudicante e con competenza tecnica esclusiva nell’applicare le norme del Regolamento Tecnico Internazionale (RTI), nei regolamenti particolari delle manifestazioni e nelle disposizioni degli organi federali competenti.
Una manifestazione di atletica, con le sue svariate particolarità, richiede una flessibile professionalità al giudice, per cui il suo ruolo si diversifica in
Compiti operativi, sulla pista o su pedane, o alla gestione di strumenti per la misurazione del tempo o delle distanze, nonché ad altri compiti esterni al campo.
E’ questa la ragione per cui, per diventare giudice, bisogna formarsi tramite un corso che esamina il corretto svolgimento del gesto atletico applicato alle varie gare:
- Gare di corsa e marcia
- Gare di salti in elevazione ed estensione
- Gare di lanci
- Prove multiple e staffette
- Gare di corsa su strada o in montagna
Tale è la complessità della manifestazione di atletica leggera che è consigliabile e possibile conseguire una specializzazione in:
- Giudice di partenza (starter)
- Giudice di marcia
- Ufficiale Tecnico
(Delegato Tecnico, Direttore di Gara, Direttore di Riunione) per gare
su pista (outdoor/indoor) e no-stadia (cross, strada, montagna)
E inoltre, per lo stesso motivo, è possibile abilitarsi a:
- Misurazione dei percorsi (strada e montagna)
- Cronometraggio
- Antidoping
Infine, è prevista la figura di Giudice Ausiliario (minimo richiesto 16 anni) per svolgere funzioni di supporto alla struttura giudicante.
Una tale importante e complessa figura come il Giudice richiede, a chi lo è o a chi lo vuol diventare, una grande passione e un impiego di tempo e di risorse economiche non meno rilevanti. La domanda è: come sono inquadrati economicamente i giudici?
La rete offre un ventaglio di occasioni a chi vuole approfondire l’argomento. Ecco qualche nota.
Il rimborso delle spese sostenute dovrà essere richiesto con l’apposito modulo scaricabile dal sito FIDAL/GGG.
Per l’uso dell’auto propria non è necessario richiedere la preventiva autorizzazione purché nella stessa auto viaggino almeno due giudici convocati ed il chilometraggio non ecceda i 700 km a/r. Fino a 200 km non è concesso il rimborso anche ad un’unica persona. In difetto di quanto sopra, sarà rimborsato il corrispettivo del biglietto ferroviario di seconda classe.
L’indennità spetta a tutti i giudici convocati per ciascun giorno di gara e di effettivo servizio.
Fonte Podisti.Net, 15 febbraio 2015: “Il gettone di presenza per un giudice è di 7 euro. Nessun rimborso per l’eventuale posto, se la manifestazione si prolunga per l’intera mattinata o serata. Per il trasporto, nulla, fino a 50 km a/r! Poi, 21 centesimi al km!
La situazione appare bloccata: Legge 266/91 (il volontariato). Art. 2:
“… per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà…”.
Non… contento, l’art. 2 ha anche un comma (2. 1), che… insiste:
“L’attività di volontariato non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario di appartenenza e le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata devono essere rimborsate entro i limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.”
Cosa volete di più?