Scarpe nuove e l’indifferenza di chi le acquista
Vogliamo intitolare questo articolo così: “Scarpe nuove e l’indifferenza di chi le acquista”. Per un po’ eravamo tentati di sostituire il sostantivo “indifferenza” con un altro, “ignoranza”; ma non avremmo reso giustizia a centinaia e centinaia di bambini. Spieghiamo il perché della nostra leggera titubanza.
Tutti i podisti, nessuno escluso, mirano all’acquisto di scarpe che siano quanto più economiche possibili. E’ un dato di fatto. Certamente, conta la marca, il modello, a volte perfino il colore. Ma il podista ricerca soprattutto “l’accessibilità economica”, anche perché le scarpe vanno sostituite abbastanza presto (specialmente per i podisti fondisti) e sostenere una spesa rilevante in un arco di tempo ristretto può significare per qualsiasi bilancio familiare destinare una cifra molto, troppo rilevante, che a volte potrebbe perfino pregiudicare il prosieguo dell’attività preferita che, è bene ricordarlo, corrisponde pur sempre nella maggioranza dei casi a un semplice hobby, cioè a un qualcosa a cui si può facilmente rinunciare.
Quando acquistiamo una scarpa, se vogliamo, possiamo notare l’etichetta sotto la tomaia all’altezza della protezione del collo del piede. Noi la guardiamo per controllare la misura e la corrispondenza numerica fra i continenti, EUR, USA, però mai prestiamo attenzione sul Mady. Cioè, sappiamo che possiamo trovare, di volta in volta, China, Corea, Indonesia, eccetera, anche se le abbiamo acquistate sotto casa, ma questo lo riteniamo un dettaglio affatto marginale, buono solo per aumentare la nostra conoscenza circa la provenienza del prodotto. E basta. A volte, perfino, quasi non lo andiamo più a visionare, tanto non serve a niente; sappiamo che c’è e non è importante sapere da quale parte del mondo esse provengano. Non è utile saperlo, in base all’uso che ne faremo.
Eppure, noi podisti, partecipiamo spesso a gare denominate “per la pace nel mondo”, “contro la violenza delle donne”, “contro lo sfruttamento ambientale”, eccetera eccetera, dimenticando che alla base di queste storture sociali ci sono gli sfruttamenti di persone (molto spesso bambini) che vivono in paesi poveri, sia di economia che di democrazia. Siamo convinti che basti una qualche partecipazione commossa all’evento solidale di turno, per tacitare le nostre coscienze civili, per dimostrare a noi stessi e agli altri che siamo impossibilitati ad intervenire su di una questione che travalica le possibilità individuali. Allora, compriamo le scarpette, sorvoliamo sulla faccenda che milioni di persone sono sfruttate per consentirci un acquisto economico e “in cambio” partecipiamo compatti alla manifestazione, con grande commozione e spirito di solidarietà.
Cosa dovremmo fare? Rinunciare all’acquisto delle scarpe economiche, per impedire il rinnovo dello sfruttamento di bambini che non vanno a scuola e sono pagati per un paio di euro al giorno? Non siamo così ingenui. Ma almeno dovremmo mettere come si dice “nella nostra agenda” la rivendicazione di salvaguardare i diritti di tutte le persone, formando un vasto movimento di opinione, che valga a contrastare “politicamente” questo vergognoso sfruttamento; e non batterci solo per mantenere comunque in vita i nostri agi e privilegi, frivoli al cospetto di certi drammi.