Correre in discesa
Chissà perché, podisticamente parlando e non solo, quando si vuole significare una cosa difficile si dice “correre in salita”, quando invece “correre in discesa” è molto più duro e complicato. Forse, perché le prime attività umane si svolgevano in pianura, o al limite in discesa, dove era più facile insidiarsi e trovare un equilibrio fra le cose del vivere quotidiano. Sta di fatto che in tutti i settori della vita, per indicare una difficoltà, e anche per giustificare una certa lentezza o impossibilità, nel raggiungimento di determinati obiettivi, ci si rifugia nell’espressione… “corsa in salita”.
Correre in discesa, da un punto di vista podistico, necessita di un’ottima forza muscolare a livello degli arti inferiori nel loro complesso, in quanto le sollecitazioni compressive dati dai continui “salti verso il basso” costituiscono delle contrazioni di tipo eccentrico molto affaticanti. E il buon podista conosce la differenza fra movimento muscolare concentrico ed eccentrico; sa che nel primo si ha un rigonfiamento del muscolo in ragione della forza che s’impiega e che nel secondo il muscolo stesso si allunga per tornare nella condizione di riposo; e sa anche che se in questa seconda fase lo costringe “a lavorare”… avvertirà “dopo” indolenzimenti molto seri.
Correre in discesa, dipende anche dal carattere del podista, dalla sua motivazione psicologica di fondo, in relazione alle sue specificità di forma fisica: se il suo temperamento è volitivo, aggredirà la discesa; se tiene di più a mantenere uno stile composto, avrà cura di non stravolgerlo con un tipo di corsa azzardata. In entrambi i casi, il buon podista farà bene a considerare la discesa in base a 3 parametri: fondo, profilo, lunghezza. Per il fondo, dovrà mettere in preventivo che la velocità di corsa, inevitabilmente, dovrà essere aumentata (in… “fondo”, la discesa non è… una salita). Il problema sarà semmai di quanto la velocità dovrà essere aumentata. Per il profilo, cioè per l’effettiva pendenza della discesa, si riscontra l’elemento che meglio caratterizza la maniera stessa con la quale viene affrontata dal podista; correre in spinta lasciando andare le gambe è il modo più veloce e produttivo e fisicamente meno dispendioso, in quanto il piede tocca per molto poco tempo il suolo, con un tempo di contatto brevissimo che impedisce la pesantezza di ricaduta dell’appoggio. Naturalmente, maggiore è la pendenza e maggiore è la difficoltà di mantenere il gesto nella giusta coordinazione. Comunque, egli dovrà correre in maniera perpendicolare al tipo di tracciato, lasciando andare le gambe, ma non in spinta, inclinando in avanti il busto e la testa che essendo le parti più pesanti del corpo lo spingeranno in avanti automaticamente, senza farlo cadere , perché le gambe lo manterranno in equilibrio. Molto importante, in questa fase di corsa, sarà l’appoggio del piede, anzi, fondamentale: non di tallone, non di punta, ma di pianta. Come già detto, perpendicolare al terreno. Diremo per usare un’espressione un po’ ironica, di “sana pianta”.
Per la lunghezza, il buon podista saprà regolarsi in base alla sua esperienza, che gli consiglierà di affrontare qualche tratto con la necessaria tranquillità e scioltezza, onde impedire i fastidiosi indolenzimenti futuri ricordati in precedenza e riferibili all’interessamento muscolare eccentrico.
Infine, lasciamo spazio alla Natura, che nei suoi imperscrutabili disegni dona ad alcuni podisti (come anche ad alcuni ciclisti, ad esempio) il dono di essere specialisti nell’affrontare le discese. Ma a chi non si ritrova in questo ristretto numero, speriamo abbia giovato la lettura.