Intervista (impossibile) a Emil Zatopek
Incontriamo Emil Zatopek nei pressi dello stadio a lui dedicato. Ci ha dato appuntamento e noi non vogliamo arrivare in ritardo; sappiamo che abbiamo a che fare con una “locomotiva umana” e treni simili, potenti e veloci, sono precisi…
Sa dirci chi coniò per lei questo soprannome, “locomotiva umana”?
E’ sempre colpa della stampa… Non so bene chi, ma poiché quando correvo ansimavo troppo, sembravo dissero “una locomotiva”, mi affibbiarono questo nomignolo. La cosa avvenne alle Olimpiadi del ’52, ad Helsinki, quando vinsi ben tre medaglie d’oro, 5000, 10.000 e maratona, stabilendo tra l’altro in tutte le gare il record olimpico. Stupì soprattutto quello sulla maratona, gara alla quale partecipai per la prima volta e che non avevo inserito nel programma per quella edizione dei Giochi Olimpici…
Già, le Olimpiadi. Prima che faceva? Come ci arrivò?
Ero operaio in una fabbrica di scarpe. Provenivo da una famiglia numerosa e mio padre era calzolaio. Ogni tanto correvo, ma senza metodo. Fu a vent’anni, durante il periodo della guerra, che capii che avevo un certo talento per la corsa e presi ad allenarmi intensamente, per migliorare la mia attitudine, per perfezionarla. Correvo 4 ore al giorno,m con qualsiasi condizione atmosferica e con qualsiasi tipo di tracciato. Il mio motto divenne “la corsa come abitudine”. La mia corsa doveva essere una “ribellione alla fatica”. Pensai che per ottenerla, io dovessi abituare il mio fisico a dei bruschi cambiamenti di ritmo, ed escogitai quello che successivamente mi hanno detto essere l’interval-training: correvo forte per 400 metri e poi recuperavo con un tratto di 200 metri. Questo per tante…, tante volte. Così, quando corsi alle Olimpiadi di Helsinki, tutti erano sorpresi della mia condotta di gara…, tranne me.
Le gare memorabili, le Olimpiadi, le medaglie, la prima maratona…
Ricordi incancellabili, bellissimi. Vinsi tre ori, 5.000, 10.000 e Maratona, in ognuna delle quali stabilendo il record olimpico. Nella maratona, non sapevo regolarmi sul ritmo da intraprendere, anche perché avevo già corso i 5.000 e i 10.000, e temevo un po’ la lunghezza dei chilometri da affrontare, tra l’altro, per la prima volta in carriera. Chiesi, senza spocchia, se quel ritmo non fosse troppo lento, prima di cambiarlo e di arrivare in solitaria allo stadio. Che momenti! Divenni un eroe nazionale, ma vorrei dire anche internazionale. Mi sentivo interprete di un qualcosa che travalicava i confini dello sport e che andava nella direzione di un esempio e di un impegno civile utile anche agli altri.
La Primavera di Praga, poi, cancellò un po’ tutto…
E’ stato un episodio che, come l’Atletica, mi ha segnato la vita… Nel ’68, tutto il mondo, fu pervaso da un’esigenza di cambiamento. Da noi, Dubcek cercò di dare una svolta più democratica ai cecoslovacchi mediante riforme varie una delle quali, ad esempio, fu quella della creazione di due diverse nazioni, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca. Voleva più libertà di stampa e più decentramento amministrativo dalla Russia, che allora era il potentissimo paese catalizzatore del Patto di Varsavia. Anch’io, come milioni di cittadini, fui preso dall’entusiasmo; pensavo che si potesse veramente contribuire a dare una svolta. Ma i carri armati dei russi e il suicidio di Jan Palach, povero ragazzo…, bruciatosi per protesta…, mai vista una cosa simile, che da’ l’idea del clima che si viveva allora in Cecoslovacchia…, mi indussero ad un ripensamento dell’impegno civile. Il ridimensionamento a cui fui soggetto dalle autorità (mi tolsero gli incarichi e mi fecero lavorare in miniera), in me era già avvenuto… Era la delusione finale, dopo anni di attività in cui avevo creduto in un concetto: che le vicende personali si potessero tradurre in quelle sociali. Era la sopravvenuta consapevolezza che tutto quanto, io e i miei compatrioti avessimo fatto, fosse stato abbastanza inutile.
Ora impera la Globalizzazione…
Penso che è un periodo storico, per certi versi, rapportabile alla Primavera di Praga. Viviamo un certo momento in cui vengono fuori situazioni che coinvolgono intere popolazioni, intere nazioni. Io non sono un politico di professione, ma penso che sono episodi difficilmente prevedibili, come conseguenze. Solo chi detiene il potere, quello vero, dettato dal possesso dei capitali finanziari, può influire su questi fenomeni sociali tanto complessi. Dal mio punto di vista, come atleta e come uomo, credo che i fenomeni sociali riguardino solo le norme generalmente intese; mentre i singoli, che compongono le masse, debbano individualmente impegnarsi per dare un contributo personale all’evoluzione del fenomeno del movimento di massa. Voglio dire che l’individuo non deve limitarsi ad essere semplice spettatore, ma deve mettere in pratica, realmente, quello che è nella sua facoltà di fare o di poter fare, senza pensare che non serve a niente, ma con la convinzione che i piccoli gesti individuali contribuiscono al successo delle grandi realtà.
Cosa prevede per l’immediato futuro…
La Globalizzazione, è sempre un mio parere, si mischia con l’Immigrazione. Dallo “scontro” di questi due fenomeni…, meglio sarebbe… dall’incontro, si giocano i destini del mondo intero, perché quello che avviene in Europa avrà ripercussioni in tutti gli altri continenti. E in effetti, la parola “globalizzazione”, questo significa: quello che avviene in un punto della Terra, ha delle ripercussioni in tutto il resto del pianeta. Qualcuno ha parlato del “volo di farfalla”. Ecco, mi sembra un’immagine realistica. Ma molti mi danno l’impressione che siano distratti da altri tipi di immagini. Purtroppo.