C’è bisogno di un campione
E’ inutile negarlo, l’Atletica Leggera versa in una condizione che definire difficile significa usare un eufemismo. Ed è perfino sciocco fingere che il problema non esiste nella sua profonda e, per certi aspetti, paralizzante vastità. Sarebbe il caso che ci cominciasse sul serio a preoccuparsene, e non parliamo per noi, semplici spettatori, ma dei responsabili, i quali, in vari settori e responsabilità, rivestono incarichi che dovrebbero farli quanto meno non dormire sonni tranquilli…
Forse, il problema principale, che solo in parte assolve i dirigenti nazionali, è che non è nato più un “fiore nel deserto”, cioè un campione in grado di calamitare su di sé l’attenzione generale, sia di addetti ai lavori che di ragazzi che si avvicinano allo sport. Diciamo così, perché abbiamo negli occhi e nella mente l’esempio di Berruti, da cui nacque lo stimolo per la pista e poi svariati campioni, tra cui l’immenso Mennea (guarda caso proprio sui 200 metri…), il recordman mondiale degli 800 metri Fiasconaro, il campione mondiale e olimpico Cova, eccetera…
Abbiamo anche ben presente l’esempio di Pizzolato, sulle sue incredibili e vittorie consecutive alla maratona di New York che, senza stare troppo a sottilizzare, determinò e produsse campioni del calibro di Bordin e di Baldini (vincitori olimpici sulla maratona) e quindi la crescita esponenziale del movimento podistico italiano, anche se limitato e circoscritto all’ambito delle sole corse su strada. Al riguardo, non bisognerebbe mai dimenticare (lo diciamo agli innumerevoli podisti praticanti) che le medaglie olimpiche per le gare su strada sono riservate esclusivamente ad una sola disciplina: la maratona, per l’appunto…
Quindi, c’è bisogno di un campione. Ma come nasce un campione? Sembra di ritrovarsi nel classico caso formulato a mò di domanda capziosa, su chi sia nato prima, se l’uovo o la gallina. Già, chi è nato prima, l’uovo o la gallina? Chi nasce prima, il campione o la struttura che lo predetermina? Sicuramente, prima l’uovo; la risposta appare abbastanza scontata. Non bisognerebbe mai dimenticare che il campione è chiamato così, perché è il frutto di una situazione sedimentata nel tempo e nella società. Prendiamo in prestito da un altro sport, il ciclismo, l’esempio che forse fa’ comprendere meglio il problema. Fausto Coppi non nacque per caso, su di un territorio avulso da quel tipo di sport e, tra l’altro, da una mentalità storico sociale indifferente. Anzi, fu il prodotto di un’attività sportiva protratta già da svariati anni e che rappresentava una sorta di riscatto e di orgoglio nazionale. Inutile ricordare l’episodio del ’48, di quando Bartali (altro grande campione…) evitò una vera e propria rivoluzione sociale, vincendo il Tour, all’indomani dell’attentato a Palmiro Togliatti…
Questa è la verità, manca un campione, perché manca una struttura; un’organizzazione sportiva che funga da collante fra tutti gli strati della società e la mentalità di un popolo formato fin dagli anni dell’infanzia ai valori dello sport. Manca l’uovo, affinché possa nascere la gallina.