GPS o Cronometro, negli allenamenti?
Sta prendendo sempre più piede (non a caso parliamo di podismo…) la tendenza ad usare, in gara o in allenamento non importa, il GPS in luogo del classico cronometro, tanto da far apparire quella ristretta minoranza che ancora si ostina a fare uso della “vecchia tecnologia”, poco più che un rudere del passato. Invece, esiste una ragione che dovrebbe suggerire giudizi più prudenti, o comunque almeno rispettosi verso coloro che ancora non utilizzano quella che potrebbe anche sembrare una semplice moda del momento. Qual è questa ragione? Vediamola.
Quando parliamo di cronometro, ovviamente, ci riferiamo a quel tipo di rilevazione che tiene conto dei tempi parziali (i laps). Cioè, il cronometro che usano i podisti, non era, e non è, solo il mezzo per staccare il tempo dall’inizio fino al termine della corsa, specialmente in allenamento; bensì è la rilevazione dei tratti segnati corsi a velocità variabile, in base ad una certa programmazione, nella testa e nell’organismo del podista interessato. Perché, come ogni podista sa bene, tutti coloro che si allenano lo fanno quasi esclusivamente per conseguire un obiettivo cronometrico ben preciso, che spesso trova il suo coronamento anche in un solo appuntamento annuale. Quindi, il cronometro deve possedere questa funzione: il parziale ad ogni chilometraggio voluto. Tanto è vero che un buon cronometro, deve contenere almeno 30 laps… A furia di allenarsi ai diversi ritmi che la programmazione prevede, il podista acquisirà, con il controllo sistematico e razionale dei tempi parziali, unito alla contemporanea visione del tracciato usato (strada o pista), la dovuta esperienza per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato.
Cosa avviene invece col GPS? Avviene che c’è una segnalazione acustica… ad avvertire il podista dell’avvenuta performance… La strumentazione del GPS è bellissima, meravigliosa…, ma non consente la maturazione personale del podista, il quale non matura infatti (leggere “crescita personale”), nei vari allenamenti che effettua, la conoscenza delle proprie possibilità e capacità. Non avviene, col GPS, quella che si può definire “la visuale concreta” dell’allenamento. Cioè, solo dopo aver raggiunto un determinato punto del percorso, il podista ha contezza di ciò che ha fatto, nel senso che non “vive” il momento nel suo “verificarsi”. Egli, solo dopo, magari a tavolino, osserva e pondera i parziali, ma senza abbinarli alla fatica e alla sensazione del momento, determinando in questo modo una non edificante, ai fini podistici, forma di estraneità. Avviene, in definitiva, che col GPS, il podista viene “pilotato dalla macchina”, come se un robot lo sostituisse nella pratica della vita, riducendo le sue capacità biologiche (e mentali).
In effetti ci troviamo, ancora una volta, al cospetto del male della modernità: il farci dipendere dalle macchine, deprivandoci delle nostre capacità, fisiche e mentali, divenendo noi stessi semplici ingranaggi, estreme propaggini di un sistema in cui non è necessario pensare. Perciò, non chiedetemi il perché io preferisca il cronometro al GPS… E datemi pure del troglodita…!