Il segreto della vita
Lo struggente saluto di Salvatore, un amico della mia squadra, che mi chiedeva accorato le attuali condizioni fisiche in cui verso, mi offre l’occasione di dire a lui, a me stesso e a quanti nel passato e nel presente hanno attestato e attestano che sono una brava persona, qual è secondo il mio modestissimo parere “il segreto della vita”.
Il titolo è quello del bel libro di James Waston. Lo lessi qualche anno fa, quando già ero adulto e mettevo in pratica alcuni miei ideali. Per chi non avesse avuto la fortuna di leggere questo libro, accenno solamente al fatto che vi si narra come l’autore arrivò alla scoperta del DNA, definendo la circostanza, per l’appunto, come “il segreto della vita”.
Però, il DNA è il segreto della vita “biologica”. Quello che io ho sempre cercato e che ho scoperto non ricordo quando (avvenne durante la mia formazione giovanile, patimento dopo patimento, esperienza dopo esperienza…) è il segreto della vita “sociale”. In effetti, e in questo ha pienamente ragione Waston, quando noi nasciamo siamo il frutto della trasmissione genetica. In un certo senso, nulla ci appartiene, nulla ci è richiesto, di nulla siamo responsabili: siamo solo nati, e basta. Ma da tale momento comincia il nostro bisogno degli altri: la mamma e la famiglia soprattutto. Così, ci ritroviamo inseriti in un’organizzazione sociale, preesistente alla nostra nascita, senza la quale sarebbe impossibile la nostra stessa vita biologica.
A ben pensare, dobbiamo essere grati alla società. Essa (bene o male) ci fa’ crescere, giocare, studiare, comprare oggetti utili ai nostri bisogni, ci fa’ abitare nelle case (brutte o belle) nelle quali ci dota di servizi igienici, di illuminazione, di acqua, di frigorifero, eccetera. Essa ci fornisce scuole per la nostra formazione, consentendoci (anche qui, bene o male) di scegliere un’attività lavorativa. Ci ritroviamo, grazie alla società, in un sistema di leggi che confermano i valori del Bene che devono prevalere su quelli del Male (infatti, le carceri esistono solo per coloro che commettono reati…). Sì, dobbiamo essere grati alla società.
In cambio dovremmo essere noi stessi, finalmente, a “dare”, come finora ha fatto la società con noi. Però, mentre per la società il “dare” è una “necessità organizzativa”, insita nel suo stesso sistema concettuale, per l’individuo il “dare” in che cosa deve consistere se non nel proiettarci verso gli altri esseri umani con altruismo e sincerità?
Ecco “il segreto della vita sociale”: ascoltare gli altri, occuparsi di loro, essere insieme a loro. Non più “prendere”, tanto si è già preso molto dalla società: “SIAMO QUELLO CHE SIAMO GRAZIE ALL’AVER GIA’ PRESO”. Non “prendere”, quindi, ma “dare”.
Ecco perché Salvatore mi vuole bene e sente la mia mancanza. Gli ho dedicato del tempo, mi sono reso disponibile, ho condiviso con lui alcune cose, l’ho ascoltato, gli ho “dato” qualche consiglio.
Non ho “preso”, ma ho “guadagnato” tanto!