Non era questo che volevamo
Abbiamo assistito alla quarta edizione della “Pasta Run”, una manifestazione podistica non bella, bellissima. Però…
La riuscitissima gara podistica di 10 km, organizzata magnificamente dall’ASD Oplonti-Trecase Run, col patrocinio del Comune di Torre Annunziata e con la collaborazione del CR Fidal Campania, era tra l’altro valevole come Campionato Regionale di Società.
E’ stata per noi anche un’occasione di rivedere tanti cari amici, appartenenti a quella che si è solito definire “vecchia guardia”, con i quali ci siamo affettuosamente, forse perfino nostalgicamente, soffermati sugli ideali che ci spinsero ad abbracciare, per l’eternità a quanto è dato vedere, questo sport meraviglioso. Ecco perché più su abbiamo scritto “però”…
Avremmo voluto scrivere di getto qualche nostra impressione, ma ci ha trattenuto in primis la paura di poter risultare ingrati agli amici dell’ASD Oplonti-Trecase Run che hanno, di fatto, messo in opera una manifestazione podistica che raramente abbiamo visto tanto bene organizzata, per altro in uno scenario di incomparabile bellezza; e poi abbiamo esitato anche per non essere additati come i soliti piagnoni, ormai anziani e fuori dai giochi, che vedono tutto male per il semplice motivo che non possono più competere in certe occasioni. Ma infine ci siamo decisi, se non altro per dare voce a quel gruppo di amici, che non “pubblicizzano” il loro disappunto, un po’ perché in fondo isolati dal nuovo contesto in cui si muovono, un po’ perché non lo condividono sostanzialmente e un po’ per non farsi additare come patetici nostalgici troppo memori dei bei tempi andati.
Spieghiamo il nostro “però”, ricordando il nostro modo di correre.
Noi si correva, e spesso molto forte, per la soddisfazione di migliorarci cronometricamente e per il conseguimento di una medaglia o di una coppa, da portare a casa con fierezza. Tutti noi della vecchia guardia, se non correvamo sotto i 35’ una 10 km, quasi non avevamo l’ardire di dirigere lo sguardo negli occhi di coloro che vi scendevano tranquillamente. Ma non per soggezione, per ammirazione, per la gran mole di sacrifici che sicuramente facevano, pur restando sempre atleti e persone semplici, disponibili a dare consigli, anzi, contenti di essere utili agli altri.
Noi si correva allenandoci per strade “solitarie di podisti”, ma “affollate di sedentari” prontissimi a farsi beffe di noi, sudati e affaticati al loro cospetto fumante nei pressi dei soliti bar. Quante volte siamo stati accompagnati da frasi del tipo: “Ma statt’ a cas’…!”; “Ma chi to ffafà…!”; “Obbì ca nun ci ‘a faje?” E cose di questo tipo. Ma noi, imperterriti, continuavamo sempre con negli occhi e nel cuore, la certezza e il desiderio di fare quello che stavamo facendo, nella speranza che altri seguissero, adulti e piccini, il nostro esempio. Sì, esempio, perché ci sentivamo pionieri, esploratori dell’animo umano nell’esercizio che accosta l’uomo a se stesso e alla natura.
Noi si correva scoprendo i nostri difetti e i nostri pregi, fisici e mentali, cercando di correggere i primi e di mantenere più a lungo inalterati quelli che ci sembravano essere cose da custodire come tesori da dare e da trasmettere eventualmente a ragazzi che sembravano interessati al nostro passare.
Noi si correva sempre, su strada e su pista, nei cross e nei trail: sempre. La domenica non era il giorno della messa, quanto quello della gara, considerata il migliore degli allenamenti possibili, quando correndo con noi stessi, nel respiro affannoso di una corsa faticosa, mettevamo a nudo le nostre capacità, senza fingere con noi stessi. E il tempo che controllavamo ad ogni chilometro era la dimensione del nostro impegno e della nostra realtà. Infine, quando tagliavamo il traguardo, eravamo, senza bisogno che qualcuno ce lo dicesse, “brutti, sporchi e cattivi”, in una parola “esausti”, perché avevamo “speso” tutte le gocce di sudore.
La nostra, in conclusione, è una generazione di sconfitti. Forse, era anche perfino inevitabile che avvenisse , considerato il tipo di società che nel frattempo si è andata formando, con un modo di vivere improntato alla “velocità”, ma della comunicazione, al “mostrarsi” non per quello che si è, ma per quello che si vorrebbe sembrare agli occhi degli altri, al “guadagno” di soldi o di premi da salumeria, ma non di secondi sottratti ai propri record personali, e cose di questo tipo. Infatti, quanti di quel migliaio di podisti che hanno partecipato alla bellissima quarta edizione della “Pasta Run”, ad esempio, sono soliti gareggiare su pista? Quanti s’impegnano veramente, pur non raggiungendo prestazioni di rilievo, sottoponendo il proprio organismo a sollecitazioni massimali? Quanti, e concludo veramente, più che “gareggiare”, “partecipano”, dimenticando che per svolgere questa nobile pratica debbono necessariamente munirsi di certificazione sanitaria che ne attesti l’idoneità a svolgere “agonismo” e che questa parola significa “lottare”?
Non era questo che volevamo….