Ma che belle, le Olimpiadi di Anversa!
Per chi piace lo sport le competizioni internazionali sono degli avvenimenti da non mancare, da seguire e da ricordare. Soprattutto le Olimpiadi rappresentano, con la loro classica cadenza dei 4 anni, un appuntamento irrinunciabile, da vivere intensamente. Ora, alla vigilia di quelle che stanno per disputarsi a Rio de Janeiro, viene quasi spontaneo andare con la mente a quelle che maggiormente hanno lasciato una traccia nel nostro cosiddetto immaginario collettivo. Però, a dire il vero, riteniamo che su di una particolare Olimpiade, abbiamo fin troppo consentito alla “polvere del tempo” di depositare i suoi strati; a quella dei Giochi di Anversa, nel 1920.
Fu un’Olimpiade veramente eccezionale. Già la scelta della sua sede, Anversa, città del Belgio, paese tra i più martoriati dalla Grande Guerra, divenne il simbolo della riscossa dell’umanità nel nome dello sport e della fratellanza. Non a caso, Pierre de Coubertin istituì per questa occasione (e fin ora è ancora in uso) il “Giuramento dell’Atleta”, parole che testimoniamo gli alti valori della pratica sportiva per lo sportivo in quanto facente parte dell’intera comunità civile.
Le Olimpiadi di Anversa furono un successo, di partecipazione e di risultati. Di partecipazione, perché rappresentarono il riscatto dei popoli contro le atrocità della guerra. Di risultati, perché misero in luce dei campioni che difficilmente si ritrovarono di eguali nelle edizioni successive. Qualche esempio? Lo schermidore italiano Nedo Nadi, ad esempio, vincitore di ben 5 ori, venne portato in trionfo dai suoi stessi avversari. Il che la dice lunga sul senso della sportività di questa memorabile Olimpiade. Si verificarono anche episodi particolari, simpatici tutto sommato, come la clamorosa protesta dei pallanotisti italiani, perché l’acqua della piscina era… troppo fredda! Una bellissima Olimpiade, quindi, di fratellanza fra i popoli, di ricostruzione delle basi fondanti della civiltà umana, della pace, del valore insostituibile dell’uomo che si lancia verso i confini fisici delle sue possibilità, con lealtà, onore e coraggio.
Podisticamente parlando, l’Olimpiade di Anversa dobbiamo ricordarla per le vittorie di Paavo Nurmi, il “finlandese volante”, che si aggiudicò tre medaglie d’oro (10.000, corsa campestre individuale e a squadra) e che stupiva per le sue caratteristiche preparazioni delle gare: correva più volte al giorno, anche in gara, usava spesso il “fartlek” ed era perfino vegetariano. Quest’ultimo particolare lasciava in molti notevoli perplessità, poiché il problema alimentare era stato durante l’intero periodo bellico molto sentito, soprattutto sofferto: Il sapere che un atleta tanto preparato si alimentava in quel modo, accese curiosità e dibattiti (in parte in uso ancora oggi…).
Per noi italiani, podisticamente parlando, è da leggenda (oggi si direbbe “mito”) la figura di Ugo Frigerio, giovanissimo milanese (18 anni), arrivato ad Anversa dopo aver vinto il titolo italiano di marcia a soli 17 anni. In effetti, egli era agli inizi e non si sentiva molto preparato per competere in una manifestazione tanto importante e internazionale come una Olimpiade. Gli dissero del motto di Pierre de Coubertin (“L’importante è partecipare”) e che avrebbe fatto un’utile esperienza. Risultato? Vinse due medaglie d’oro: 10.000 e 3.000!
Un’ultima curiosità legata al grande Ugo Frigerio. Tutte le volte che tagliava il traguardo ( e quasi sempre lo tagliava da vincitore…), gridava: Viva l’Italia!