Due paroline sul “drop”
Riteniamo che uno dei motivi che hanno causato l’abbassamento del livello tecnico nel podismo, almeno in quello amatoriale, sia non la perfetta conoscenza del “drop”, anzi, la conoscenza molto ma molto relativa del “drop”. Abbiamo infatti a più riprese interpellato podisti di ogni genere, di età e di livello, ma in pochi, in pochissimi, ci hanno saputo dire cose precise riferendosi al “drop”. Forse, è il caso che noi, molto modestamente, diciamo… due paroline sul “drop”.
Intanto, “drop” è parola inglese e può essere tradotta con “diminuzione”, “dislivello”, ma quello maggiormente usato in ambito podistico (soprattutto in relazione ai costruttori di scarpa e ai tecnici che studiano le innovazioni del settore) è “differenziale”. Per “drop”, s’intende la differenza di altezza tra il tallone e l’avampiede in relazione all’intersuola. All’osservazione, il piede nella scarpa risulta inclinato di tanti gradi quanto più è evidente il differenziale tra i due punti della scarpa presi in esame. Potremmo anche più schematicamente dire che il “drop” altri non è che la differenza in altezza fra la parte posteriore e anteriore della scarpa; e non sbaglieremmo molto.
Ma perché dicevamo in premessa che la non conoscenza del “drop” ha causato l’abbassamento del livello tecnico, soprattutto da parte degli amatori? Per cause storiche e commerciali. Una volta, diciamo fino agli anni 70-80, si correva in pochi e quasi esclusivamente in ambito professionistico, nel senso che i praticanti erano giovani. Ora, se si osserva un giovane correre, si nota facilmente che l’appoggio “naturale” è quello sul mesopiede, se non perfino sull’avampiede (specie su pista), non certamente sul tallone. C’è una ragione “naturale”, cioè “fisica” ben precisa perché ciò avvenga in maniera spontanea. Quando si poggia di tallone, la spinta risultante è verticale, mentre quando lo si fa’ di mesopiede o di avampiede, la spinta tende ad essere orizzontale. E poiché la logica della corsa è lo spostamento veloce in orizzontale, e non in verticale, madre natura ci ha fornito fin dalla nascita questa “istintiva tendenza”. Ma col tempo e con l’incivilimento, l’uomo come sappiamo ha perso quasi completamente questa necessità, si è impigrito, è aumentato di peso, e quando si accinge a correre non possiede più quella capacità di muoversi velocemente, ma solo quella di muoversi…, e trova più comodo, perfino più istintivo, poggiare con la parte del piede che gli offre maggiore sicurezza, cioè il tallone. Cosa hanno fatto quindi le case costruttrici per assecondare la “domanda” di una sempre maggiore schiera di appassionati? Ha rinforzato quella che in termine tecnico chiamano “cushioning”, vale a dire l’ammortizzazione del tallone che poi, tradotto in termine visivo, è la parte sottostante il tallone, di materiale leggero e sofisticato, in fibra speciale, leggera e resistente, per rispondere meglio all’esigenza di confort del podista, avvalendosi anche di questo materiale per l’intersuola, vero cardine “reattivo” della scarpa. Così facendo, anzi, così correndo, avviene la rullata completa, tallone, mesopiede avampiede, che oltre ad impedire la falcata fluida sollecita oltremodo le articolazioni. A parziale giustificazione delle case costruttrici, bisogna dire che hanno cercato, e cercano tuttora, di ridurre il “drop”; dai 14 mm circa (effettivamente un po’ troppi) si è arrivati al massimo degli 8 mm; e che non possono ignorare la notevole richiesta dei podisti abbacinati dalla possibilità del buon ammortizzamento. D’altro canto, per chiudere il discorso, questa vasta moltitudine di podisti che si è avvicinata al podismo, lo ha fatto quasi sempre in tarda età, ed è problematico correggere la postura e lo stile di corsa non…in età scolare. Per cui, sarebbe consigliabile abituarsi gradualmente ad un “drop” più basso, magari concentrandosi a correre sul mesopiede e sull’avampiede in sedute di allenamenti con chilometraggi ridotti.