Le cicatrici dei podisti
Alcune cose che il podista non può evitare sono gli infortuni. Anzi, possiamo dire che il valore di un podista si misura sul come affronta l’infortunio, prima, durante e dopo: prima, nel cercare di evitarlo, con accortezza e prudenza; durante, con rassegnata accettazione dell’infermità, mista a una decisa e saggia voglia di ripresa; dopo, non dimenticando del tutto l’accaduto e trattare la parte interessata del “caso nefasto” quasi con gratitudine, per avere essa contribuito alla sua evoluzione e maturazione podistica in senso lato.
Ma può in effetti un infortunio, superato e passato nel dimenticatoio, costituire per il podista una fonte di continuo insegnamento? Se sì, come? La risposta non può che essere affermativa, perché in realtà l’infortunio… resta sempre con noi e… corre insieme a noi… Vogliamo dire che nel podista ex infortunato resta sempre una traccia nell’organismo, una sorta di “cicatrice”; e non potrebbe essere altrimenti. L’elemento fisico, muscolare osseo e tendineo che sia, non scompare del tutto, così come… non scompare del tutto l’organismo che si ha in “dotazione”. Non è come un raffreddore, che una volta guarito lascia la persona in un primo momento contagiata. L’infortunio resta lasciando una traccia, una cicatrice, una dimostrazione del suo passaggio, un attestato per così dire storico del corpo in questione, con il quale e per il quale ormai si conviverà per sempre.
Avverrà che al podista interessato, ritornato alla normalità delle sue prestazioni, quelle volte che spingerà l’organismo verso sollecitazioni anaerobiche, càpiti d’avvertire un qualcosa d’impalpabile (nelle migliori occasioni…), o una “segnalazione di pericolo”…, proprio laddove un tempo neanche tanto remoto abbia avuto un infortunio. E’ la cicatrice di cui si diceva. Sarà successo quello che è facile preconizzare: il corpo, precisamente in quel punto, ha “rimarginato” la ferita, ma “ricorda” che comunque, proprio lì, è una parte debole e come tale va’ considerata. Per usare un modo di dire alquanto in voga…, “non è possibile rifarsi una verginità”…
Facciamo qualche esempio: una contrattura al polpaccio. Come sappiamo, esistono ben tre tipi di lesioni muscolari, ognuna delle quali richiedente una specifica attività riparatrice. Se qualche fase di recupero non è stata effettuata a dovere (per una “fretta congenita” del podista di guarire…), anche se poi è avvenuta la piena guarigione con il completo ripristino della funzionalità, a distanza di tempo possono verificarsi episodi di stanchezza in grado di replicare il pericolo di ulteriori contratture, data la natura tra l’altro complicata del muscolo del polpaccio. Ed ancora: sindrome dell’adduttore (pubalgia). Trascorsa la terapia, magari la fibrolisi, e ripresa anche pienamente la condizione di una volta, nulla vieta, anzi è sicuro, che al minimo segnale di stanchezza sia proprio l’adduttore ad avvertire i primi segnali, essendo presente la “cicatrice” di cui stiamo parlando.
Insomma, le cicatrici dei podisti sono come le rughe delle persone anziane: fanno parte della storia dell’individuo; con la sostanziale differenza, però, che non lo fanno apparire più vecchio, ma più consapevole e sorridente. Ed è questo il segreto della vera giovinezza.