Quando la grinta non basta
Assistendo più volte a finali di gare concitati fra atleti cosiddetti “veloci” primeggiare su altri detti “lenti”, ci siamo spesso chiesti cosa determina la differente prestazione. La nostra non è mai stata tanto la domanda banale che indagasse sulle diverse, obiettive e riconosciute capacità fisiologiche, quanto le effettive possibilità di poter modificare e/o allenare, quindi migliorare, quegli aspetti metabolici che sono alla base di un determinato organismo.
L’atleta cosiddetto veloce, cioè dotato di fibre veloci e di atteggiamento grintoso tende, proprio perché capace di sollecitare il proprio organismo in modo intenso, a creare le premesse biochimiche, fisiologiche e ormonali, a consumare quasi esclusivamente zuccheri. Infatti, è noto che l’organismo di fronte alla necessità di correre ad alta velocità, sceglie per così dire il carburante di maggiore qualità, quello di più immediata utilizzazione, che gli procura energia in tempi rapidissimi: gli zuccheri. Però, quello che si può considerare un vantaggio, in ambiti di gare dove magari si richiede la capacità di utilizzare le energie per lunghi tragitti, come ad esempio dopo il “muro” dei 35 km in una maratona, si rivela poi un handicap, non sapendo l’organismo attingere adeguatamente a quella fonte di energia, più lenta a trasferirsi in energia, rappresentata dai grassi.
Certamente, il problema non esiste per l’atleta veloce che non ha in animo di partecipare ad una gara lunga del tipo di una maratona o di una mezza maratona, ma…, se gli balenasse in testa il tarlo che il vero podista si vede in certe gare, allora farebbe bene a preoccuparsi di come abituarsi ad una diversa capacità di utilizzare le sue fonti energetiche, mediante un diverso allenamento.
Quindi, fermo restando che bisogna mantenere inalterata la grinta che si possiede, la si deve però incanalare meglio, adattandola alla specifica attività. Consapevoli del fatto che in una maratona è indispensabile essere in grado di attivare il consumo dei grassi, in quanto le dotazioni di zuccheri presenti nel corpo non sono sufficienti ad andare fino in fondo, bisogna abituarsi a considerare come agevole, o sopportabile, la maggiore richiesta energetica per sostenere certi ritmi, imparando ad attingere alla riserva dei grassi, sempre disponibili proprio perché più lenti ad entrare in circolo. Quindi, sono da privilegiare gli allenamenti più lunghi rispetto ai soliti, nonché i ritmi di corsa media che sono abbastanza veloci, ma non troppo. E quella che in precedenza era considerata come la corsa lenta di recupero, è meglio tramutarla, negli aumentati chilometri dell’allenamento, in corsa sciolta.
In un periodo di circa 6 mesi, in un podista di media esperienza, avverranno tutti quegli adattamenti metabolici necessari per affrontare degnamente una gara lunga dove tra l’altro gli arrivi allo sprint sono abbastanza rari e dove quindi avere o meno grinta non è considerata una condizione indispensabile. Anzi no, si tratta di modificare… la natura della grinta che si ha: invece di rilasciarla in modo rapido, in poche decine di metri, avere la capacità di distribuirla lungo tutti i lunghi chilometri della competizione, con la… feroce determinazione di arrivare alla meta!
Una grinta, quindi, non evidente, bensì mascherata: tutta interiore. Una grinta per così dire… “geneticamente modificata”!!!