Quella strana sensazione di onnipotenza
Tutti i podisti durante la loro carriera, lunga o breve che sia, attraversano delle tipiche fasi che ne caratterizzano l’evoluzione. Alcune di esse sono talmente interessanti, ma “silenti”, che meritano senza dubbio una trattazione a parte, poiché si riferiscono all’indole psicologica del soggetto.
Sono due le situazioni alle quali ci riferiamo; l’una, che potremmo necessariamente porre agli inizi dell’esperienza podistica, quindi al primo anno di attività; l’altra, riferibile al momento della sua massima espressione prestativa, che può coincidere alla fine del primo biennio di attività, oppure con un periodo particolarmente brillante per svariati motivi.
Nel primo caso, il podista “fagocita” un nugolo impressionante di dati e di osservazioni, che vanno dai consigli dei podisti più esperti (che per nostra fortuna in un mondo generoso come quello del podismo non mancano mai), dalle documentazioni del settore (riviste specializzate, classifiche, eccetera) e dalle esperienze “fatte sul campo”, in quanto ad allenamenti e a gare. In questa fase iniziale, in modo quasi inevitabile balza all’attenzione del neo podista, la vasta casistica relativa agli infortuni che colpiscono i suoi amici: sciatiche, pubalgie, tendiniti… Sembra che nessuno ne sia immune. Sotto sotto… in lui si fa’ largo l’intima convinzione di essere “meglio predisposto da madre natura” e di essere in un certo qual modo salvaguardato da questi inconvenienti e di possedere una costituzione fisica, rispetto agli amici, più adatta alla corsa.
In realtà, come diceva un nostro vecchio amico podista, è “Frisc’ ‘e rezza”, cioè il soggetto è alle prime armi, ragione per cui tutto il suo apparato scheletrico, muscolare e tendineo, essendo “fresco”, tende a respingere in modo ottimale le svariate “intemperie” che gli possono capitare. Durante l’intero periodo iniziale di attività, che può durare per tutto il primo anno, egli migliorerà i riscontri cronometrici ad ogni gara a cui parteciperà; e questa realtà indiscutibile non farà altro che fargli… “peggiorare lo stato clinico”, insinuandogli nel profondo, senza che se ne avveda, l’intimo convincimento di essere un superman. Quando poi questo stato di grazia avrà termine, suo malgrado, dovrà adattarsi ad un ritmo di corsa leggermente più lento, nell’ordine di un 5/10 secondi in più al km, tempo rapportato ad una classica gara di 10 km.
Il secondo caso si verifica quando il podista in questione, per improvvisi e insospettabili motivi, incrementa in maniera eccezionale la sua capacità prestativa. Può accadere per una promozione in ambito lavorativo, per un raggiungimento di un obiettivo sentimentale, per una gratificazione di ordine familiare, per una raggiunta abilità podistica…, insomma per qualcosa che scuota l’animo e che dia una carica prima di allora sconosciuta. In simile frangente si riscontra, guarda caso, un deciso miglioramento in tutte le occasioni (leggi gare) podistiche, per cui l’atleta in oggetto “sente” dentro di sé una tale carica, una tale motivazione che… gli sembra del tutto normale di possederla! Tutto gli riesce immediato e facile, mentre magari gli amici annaspano nelle loro situazioni; ed il bello è che non risente di infortuni o di stanchezza ed avverte chiara e netta la sensazione di potere continuare così all’infinito.
In realtà, come diceva un altro nostro vecchio amico podista…, “Staje bbuon’? Allor’ firmet’!” Detto in altri termini, a volte il podista raggiunge effettivamente l’ideale, e sempre perseguita, condizione di abbinare esperienza e competenza, nel qual caso, complice un avvenimento molto gratificante della sfera personale, si aggiunge alla condizione psico-fisica un’ulteriore dose di motivazione e di convinzione in grado di apportargli incredibili energie e consequenziari risultati. A questo punto, però, sarebbe saggio non insistere in allenamenti o gare come se così dovesse essere per sempre. E’ vero che il corpo, in condizioni ottimali, è in grado di reggere sforzi notevoli, di recuperare abbastanza in fretta e di durare nella forma ottimale per un certo periodo di tempo, diciamo un 5/6 mesi, ma oltre questa “soglia” si dovrebbe avere la saggezza non di fermarsi (come si potrebbe?…), bensì di rallentare. Si darebbe in questo modo il tempo necessario al corpo di recuperare al meglio tutte le sue funzioni organiche e “forse” di allentare certe tensioni che alla lunga potrebbero pesare sul rendimento. Perché di una cosa si dovrebbe, tutti noi podisti, essere a conoscenza: la mente, contrariamente al corpo, non si stanca mai e non necessita di recupero!