Perché si deve variare il ritmo
E’ sorprendente vedere come alcuni podisti si ostinano a non ascoltare i consigli dei più esperti, continuando in certi loro allenamenti che non aggiungono nulla, anzi sottraggono, alla possibilità di migliorare la propria corsa. E a costoro noi vorremmo rivolgerci, sperando che almeno una volta facciano attenzione, perché una delle caratteristiche principali del mondo podistico amatoriale al quale ci rivolgiamo, è la più schietta e disinteressata solidarietà, senza infingimenti o ipocrisie. E’ infatti da troppo tempo che vediamo questi amici correre sempre in quello che riteniamo essere il modo sbagliato, o comunque non completamente rispondente ai canoni abbastanza riconosciuti come classici e corretti dai competenti del settore.
Eppure è così semplice… Basterebbe facessero caso ai loro tempi nelle gare, quasi sempre le 10 km su strada, tempi che sono quasi identici in tutte le occasioni, con impercettibili oscillazioni, dovute molto probabilmente a percorsi misurati in precedenza con sufficienza e approssimazione. Invece, costoro si intestardiscono a correre sempre allo stesso ritmo un certo numero di km, sperando evidentemente di fare abituare il corpo a certe sollecitazioni, di fargliele per così dire fagocitare, pensando che in gara, con gli stimoli agonistici estremizzati dalla competizione, riescano a migliorare il riscontro cronometrico finale. Ma poi l’obiettivo di scendere “quel tempo” non si raggiunge…, e i mesi passano… Di volta in volta, essi danno la “colpa”, al raffreddore di stagione, alla linea di febbre, al non essersi allenati per bene causa motivi familiari, alle scarpette nuove, eccetera eccetera. Ah, in questo sono bravi…, danno sempre la colpa a qualcuno o a qualcosa, mai a se stessi. Per cui, è possibile vederli piegati nella loro bieca ostinazione, nelle loro corse tristi, nei loro allenamenti uniformi e sostenuti, salvo poi rivederli nei… lunedì post-gara, abbastanza immalinconiti e pensierosi.
In realtà, la faccenda si riduce a poco, a veramente poco. C’è un duplice aspetto da considerare; l’uno tecnico, l’altro emotivo. L’aspetto tecnico si riferisce alla fisiologia dell’organismo umano, alla sua capacità di “metabolizzare” gli impulsi podistici che gli vengono somministrati, comprese le capacità mentali, specialmente quando si sente dire che bisogna correre con la testa. Ma la prima condizione da rispettare, per un podista che si avvicina a questo sport e che intende proseguirlo per conseguire certi risultati, è quella di preparare il proprio corpo ad una buona capacità aerobica, raggiunta la quale, però, non si deve credere di avere raggiunto la maturità. Infatti, correre per 10 km tutti in una sola volta, mentre prima non si riusciva che a percorrere, a stento, solo qualche centinaio di metri, non significa essere un podista, ne tanto meno essere un podista in grado di raggiungere certi risultati cronometrici. Bisogna predisporre il proprio corpo ad un’altra capacità fisiologica, che è quella anaerobica. Cos’è questa capacità anaerobica? In parole povere è quella capacità potenziale che il nostro corpo avrebbe se fosse allenato, cioè quella capacità di poter correre ad un ritmo massimale per un certo numero di minuti, senza “in-correre” nella necessità di rallentarlo, per sopraggiunta impossibilità. Ovviamente, la corsa anaerobica la si deve fare sempre e soltanto dopo un iniziale riscaldamento, in maniera ragionata, alternandola a sedute di corsa lenta, e nelle forme di allenamento specifiche richieste, vale a dire con le ripetute, i progressivi, i fartlek, i corto veloci, le salite, eccetera. Mancando uno solo di questi allenamenti, almeno uno a settimana, gara domenicale a parte, si correrà sempre allo stesso, stancante ed inutile, modo; perché il corpo saprà fare solo quello…
Sembra ancora di vedere uno sconsolato Nicolino Pennetti dopo una famosa gara di 10 km, dove aveva corso a 3’ e 30”, non riuscendo a conseguire il tempo di 34’ come ero solito fare:
“Guagliò, è inutile…, si nun faje ‘e ripetute…, so caxx’ amar’…”