Corto sì, ma veloce
Uno degli allenamenti maggiormente disatteso, quasi del tutto sconosciuto, è il “corto veloce”. Soprattutto fra i podisti di lunga lena, i fondisti, quelli che corrono solamente le gare dai 10 km in su. Forse, è la dicitura “corto” a spiazzarli…, a fargli credere si tratti di un allenamento riservato a chi copre distanze ridotte. Invece, non è così, o meglio, non è del tutto così, dal momento che il “corto veloce” può essere tranquillamente usato da qualsiasi tipologia di podista, dal “pistaiolo” (1,500 m fino ai 10.000 m) allo “stradaiolo” (dai 10.000 m alla maratona). Vediamo di scendere più nel dettaglio di questo allenamento, come al solito, facendo leva anche su di una certa esperienza maturata in tanti anni di pratica podistica.
Essenzialmente, il corto veloce si effettua per sottoporre l’organismo ad una sollecitazione di tipo anaerobica, quella che abitua il corpo a lavorare nel mentre i muscoli producono acido lattico. Per questo motivo non deve durare ad oltranza, perché bastano pochi minuti corsi a ritmo sostenuto per cominciare a produrre il lattato. Certo, c’è podista e podista, ma dopo un 5’ di corsa veloce, quella che va’ ai limiti delle capacità personali, quella che si può anche definire “quasi” del ritmo gara, nell’ordine del 90% circa, avviene una richiesta ulteriore di ossigeno (il fiatone) dell’apparto cardiovascolare al fine di pompare più sangue, per “ripulire” dall’inquinamento causato dall’acido lattico.
Quanto dev’essere “lungo” un corto veloce? In realtà, sarebbe più corretto porsi la domanda in maniera differente: quanto deve durare un corto veloce? Una trentina di minuti. D’altronde, se dovesse durare di più, non sarebbe un corto… Così, è utile al “pistaiolo”, per concentrasi sullo sforzo ottimale da calibrare sulla potenza aerobica per un 1,500 m, ad esempio, ed è utile anche allo “stradaiolo”, per effettuare tra l’altro una sorta di ripetuta lunga per una maratona. Ma si potrebbero fare altri esempi di utilizzo di questo allenamento un po’ particolare, solo se… si riuscisse ad abbattere il pregiudizio del termine che si diceva in partenza. E’ curioso, e si ritiene anche interessante, riportare aneddoti personali. In un paio di occasioni, durante il periodo dei mesi invernali, con giornate consecutive di piogge incessanti, ci si è trovati nella pratica impossibilità di allenarsi. Ma dopo tre o quattro giorni di riposo forzato, ci si è prodotti in un bel corto veloce…, e si sono messi a punto i “meccanismi atletici” di cui si abbisognava non si affievolissero. E’ bastato riscaldarsi in casa, stretching e corsa da fermo, per un 10’, e poi via, tutto d’un fiato, sotto la pioggia battente, a correre il più forte possibile, per una mezzora…
Naturalmente, la “messa in opera” di un corto veloce richiede qualche accorgimento. Intanto, è meglio farlo lontano dalla gara, di almeno un 4/5 giorni e poi inserirlo organicamente in un piano di allenamento per il conseguimento di un obiettivo specifico. Dipende se pista o strada, dipende dalla specificità della gara che si prepara e dal momento della preparazione effettuata. Infatti, il corto veloce non andrebbe mai inserito all’inizio di una preparazione, semmai nella parte centrale e topica, o meglio, in quella finale, visto come rifinitura ottimale e/o mantenimento di una condizione acquisita.