Rivedere “il film” della gara
Non è vero, come dicono alcuni, che il passato non conta; conta, eccome! Senza il passato, recente o remoto, non capiremmo il presente. Se la vita è un continuo imparare e imparare è apprendere le cose che ci accadono mediante la riflessione che facciamo su di esse, allora bisogna necessariamente convenire, che “rivedere” il passato è la nostra salvezza!
Speriamo di non essere risultati troppo teorici e tortuosi nel dire una cosa abbastanza comune e banale, accettata da tutti, studiosi e non. Se non si ricordasse che al di là di quel muretto c’è una buca nella quale la volta scorsa si è rischiato di cadere…, “cadremmo” un’altra volta nell’errore! Quindi, il passato serve; e serve proprio nella misura che ci consente un confronto con gli errori commessi in precedenza. Ciò non vuol dire, ovviamente, che tutto quello che è stato fatto nel passato sia da buttare. Anzi, a volte ripensare alle cose che si sono fatte bene è uno stimolo a farle di nuovo. Insomma, la riflessione che si fa’ del passato si presta a molteplici considerazioni positive, a patto che non si traggano dalle vicende passate solamente rimpianti fini a sé stessi.
Prendiamo il caso di un podista che abbia gareggiato la domenica mattina. Statene certi, appena tornato a casa, forse perfino quando è in macchina per il ritorno, egli sta pensando a quello che ha fatto in gara, dalla partenza all’arrivo: rivede “il film” della gara. Da un lato, l’eccitazione della partenza, le continue scariche di adrenalina nell’osservare lo striscione, lo sguardo che incrocia quello degli altri, come il suo un misto fra lo spavento e l’allegria, le gambe che fremono nell’attesa dello start. Da un altro, le varie fasi e circostanze della gara, che possono essere le più disparate e le più incredibili: quella sensazione di fatica, inattesa e sgradita, dopo solo pochissimi minuti; quel non essere riusciti a tenere l’andatura di quell’atleta, subito dopo il rifornimento; eccetera, eccetera.
Insomma, la “visione del film” della gara dura tantissimo, al di là della semplice mezzora. Essa riappare all’improvviso, con dei veri e propri flash-back, nei momenti più impensati: quando si torna a casa e ci viene chiesto “com’è andata?”, e nel rispondere alla domanda si è “costretti” a rivedere in pochi istanti “scene” o “sequenze”; quando nel chiuso di una stanza, perché no anche in bagno, soli e pensosi, pensiamo a quel momento di difficoltà che se l’avessimo superato ora ci ritroveremmo chissà quanti secondi in meno sul cronometro; a quell’incitamento raccolto da un passante, che forse non era diretto a noi, o forse sì, chissà, ma che ci ha fatto comunque piacere sentire; e così via.
Immagini,ombre, sensazioni, sapori, voci, che ormai fanno parte del passato, cioè di una parte di noi che non ci appartiene più, perché è trascorsa, e che non potremo più riafferrare se non con il ricordo, umile e consapevole, del suo valore e della sua importanza per la nostra comprensione. Ed è bello sapere che la visione di questo film spetta solo a noi. Ed è bello avere la sensazione di guardare non qualcosa di particolare e di esterno, ma di guardare in effetti dentro noi stessi.