Scusami ginocchio, anzi, perdonami
Stamattina, prima di uscire a correre, appena mi sono diretto in cucina per preparare il caffè, ho sentito più di altre volte “scosciare” il mio ginocchio destro. Mi capita così tutte le volte che mi alzo per andare a correre dopo un giorno di riposo. E’ come se il ginocchio si rifiutasse di muoversi, come se volesse continuare il tanto meritato riposo: sono più di 30 anni che mi… supporta e mi sopporta! Caro, vecchio, prezioso e docile compagno, ti ho sempre trattato male. Tu invece mi hai sempre ripagato con sincera devozione, hai rispettato per intero il compito che madre natura ti ha dato e che io, immeritevole destinatario del tuo dono, ho spesso calpestato. Anche stamattina tu, silenzioso e diligente, accenni a qualche difficoltà, ma poi sulla strada, trascorsi alcuni minuti, mi farai sentire di nuovo l’ebbrezza della corsa.
Mi ricordo la prima volta che feci la tua conoscenza. Sì, la prima volta, perché prima di allora mai avevo sentito la tua presenza. Dopo una diecina di anni di allenamenti e di gare, avvertivo qualche dolorino sulla parte superiore della rotula, un osso del quale a stento rammentavo l’esistenza per averlo studiato distrattamente a scuola. Anzi qualche volta ci avevo ironizzato sopra, intonando quella nota canzone, modificandone una vocale: “Rotula…, rotula…, strada facendo rotula… dove mai finirà…”. Lessi sulla radiografia, “iniziali segni di gonartrosi”. Pensai che era una cosa transitoria, passeggera, e che correndo sarebbe andata via. Bastò una settimana di riposo, e via!
Ripresi a divertirmi a più non posso, a macinare come si suol dire chilometri su chilometri, per un’altra diecina d’anni. A mia parziale giustificazione…, devo dire che mi ero interessato… ad altri infortuni: sciatica, pubalgia, e via discorrendo, cioè tutta quella vasta gamma di inconvenienti a cui inevitabilmente soggiacciono tutti i podisti di lunga lena. Tu intanto eri là, silente ed efficiente come sempre, pronto a sorreggermi nella… buona e nella cattiva sorte, come si dice in occasione dei matrimoni. Fino a quel giorno in cui in una gara sentii una botta dentro di te. Era da qualche settimana che sentivo una specie di debolezza dentro di te e quindi, precauzionalmente, ero partito proprio in coda al gruppo. Quando cercai di risalire le posizioni (alle quali devo dire non ero abituato…), dopo un 3 km circa, sentii quella botta, anzi la sentirono anche i miei compagni di avventura, tanto che pensarono di fermarsi per soccorrermi: avevano pensato (ed io con loro) che mi fossi rotto il ginocchio. In conclusione, portai a termine la gara (anche con un tempo non disprezzabile…), perché l’eventuale autoambulanza non poteva raggiungermi, essendo la gara organizzata in un bosco (quello di Capodimonte), ma all’arrivo ti avevo così gonfio come non ti avevo visto mai e non potevo letteralmente poggiare il piede a terra. La risonanza magnetica alla quale poi mi sottoposi, scongiurò la frattura, ma sentenziò la carenza di cartilagine. Confesso che fu allora che cominciai ad interessarmi a te. Ma non per proteggerti, per ringraziarti, per farti riposare, no…, per vedere come avrei potuto continuare a correre a certi livelli! Vidi che tu sopporti ad ogni passo, sul tuo solito sostegno, il doppio del mio peso: ad ogni passo! Cioè, facciamo un po’ di calcoli. Peso 60 kg. Tu, ad ogni mio passo hai dovuto sopportare 120 kg. Quanti passi io compio in un allenamento, diciamo, di 10 km? Se fossero 100 i passi occorrenti per coprire di corsa 100 metri, con relativi 12.000 kg , quanti ne sono necessari per 10 km? Di quante e quante tonnellate ti ho caricato? E pensa che, dopo quell’episodio, ho corso altre 7/8 maratone! Senza contare le innumerevoli 10 km e le frequenti mezze maratone!
Durante quest’altera diecina di anni, quello che ho fatto non l’ho fatto per te, ma per me: infiltrazioni di acido ialuronico e bustine contenenti la stessa sostanza. E tu zitto, senza protestare. Altri organi, prendi l’apparato cardio vascolare per esempio, se andavo troppo forte mi segnalavano la fatica ed io rallentavo. Tu, invece, niente. Certo, i tempi cronometrici di una volta, dovevo rassegnarmi, non li avrei più conseguiti, ma correvo, mi divertivo e tutto il resto.
Poi, stamattina, nel buio del corridoio che porta alla cucina, sentivo il tuo scroscio che rompeva il silenzio, come un lamento che quasi chiede scusa della sua esistenza. Ma sono io che ti chiedo scusa, ginocchio mio, anzi perdono.