I nostri bambini verso l’Atletica Leggera
Spiace ammetterlo, ma esistono svariati ostacoli che si frappongono all’approccio dei bambini verso l’Atletica Leggera. Eppure il lanciare, il saltare e il correre costituiscono i capisaldi dell’essere umano, la natura stessa dell’essere umano. Prima ancora di pensare e di parlare (non parliamo poi dello scrivere) l’uomo ha lanciato, ha saltato e ha corso. Come mai, quindi, lo sport dell’Atletica Leggera è fra i meno praticati dai giovanissimi? Verrebbe da aggiungere…, almeno qui in Italia? Nel vedere quanti bambini pratichino altre discipline sportive, alcune anche molto impegnative sotto l’aspetto economico, viene da pensare che l’evoluzione della specie ha subìto una mutazione… Ironia a parte, si dirà che gli altri sport a cui si fa’ riferimento, sono sport di squadra, in cui l’elemento ludico e formativo è portato ai massimi livelli. Sì, però il nuoto ad esempio, non è uno sport di squadra, tutt’altro, eppure le piscine sono frequentate quasi in maniera obbligatoria: non c’è famiglia che non abbia a cuore il far praticare al proprio bambino uno sport salubre magari iscrivendolo ad un corso di nuoto…
Ma cos’è che si frappone fra l’Atletica Leggera e il bambino italiano? Sono riscontrabili due ordini di motivi, uno a carattere generale e un altro a carattere personale. Quello generale, inerisce la struttura sociale nella quale il bambino è inserito. E su questo, il bambino e la sua famiglia, non possono proprio farci niente. Purtroppo. Sono le programmazioni nazionali e regionali elaborate dalla politica governativa: poche risorse economiche stanziate, carenze d’impianti e di strutture specifiche, tardive applicazioni didattiche inserite nelle scuole, mancanza di incentivi e cose di questo tipo. Di fronte a questo scenario, il bambino e la famiglia sono smarriti e rassegnati. Anche se avessero un minimo di entusiasmo a cominciare l’attività, ne vengono subito frustati nelle loro più istintive e belle aspirazioni. Essi notano, senza fare sforzo alcuno, che il futuro eventualmente scelto sarebbe lastricato di buone intenzioni e null’altro e gli verrebbe in mente, a proposito, il famoso detto che “la strada dell’inferno è lastricata dalle buone intenzioni”… Questo, in estrema sintesi, il problema a carattere generale. Per quanto riguarda invece quello personale, dobbiamo inoltrarci nella sfera emotiva del bambino, diciamo in quella raggruppabile intorno ai 5/6 anni, non prima e non dopo. Cosa avviene nella mente del bambino in tale periodo della sua vita? Egli vuole, solo e semplicemente, giocare. Ecco il primo “scoglio”, spesso insuperabile. Per giocare, lo dice la parola stessa, occorre un giocattolo. Ora, il giocattolo, lo stadio è pressoché inesistente. Inoltre, affinché i minori siano ovviamente ben orientati, hanno bisogno di istruttori, pardon, di educatori, che li facciano appunto giocare, anzi, ben giocare, essendo il gioco un’attività altamente formativa, che prepara il bambino alla vita da adulto. Ebbene, gli educatori, reperibili sul territorio italico, sono pochi, non adeguatamente surrogati dalla federazione e non posseggono gli “strumenti con cui far giocare i loro bambini”. Stando così le cose, è facile che nel bambino avvenga in modo inevitabile un fatto psicologico istintivo, e cioè egli si appassiona al gioco nel caso abbia successo. Nel caso contrario, può avvenire perfino una sfiducia nelle sue possibilità, fino al punto da farlo recedere dai buoni propositi originari. Si consuma pertanto una sorta di ulteriore selezione nei partecipanti, che allunga per così dire la lista di coloro che… non intrattengono un buon rapporto con l’Atletica Leggera…
Conclusioni? Lasciamo perdere. Consoliamoci con… “la speranza è l’ultima a morire”…; e con la presenza di alcune persone che, nonostante tutto, continuano a credere nei loro ideali.