La mia maratona di Roma
Al bar, con gli amici podisti, si discute di tante cose… Dopo l’allenamento mattutino…, incomincia un altro tipo di corsa: parlare per pochi istanti di cosa si è fatto quando le strade erano ancora buie, ma soprattutto di cosa si è fatto quando in passato si è corso. Vengono fuori così delle realtà podistiche che sembrano fissare per sempre certe situazioni, le quali, “condivise” con gli amici, non sai se debbano considerarsi lezioni di vita o di corsa. O forse sono la stessa cosa…
Parlando della preparazione alla maratona di Roma, qualcuno aveva… l’avventatezza di chiedermi se io l’avessi mai fatta… Apriti cielo…! Certo che sì! E’ a seguire tutta una serie di considerazioni che adesso vi dirò.
Ero in piena… sciatalgia…, tanto che avevo pensato che non potessi più correre: non riuscivo a liberarmene, nonostante le cure mediche del caso. Proprio, avevo difficoltà perfino a camminare! Ecco, mi telefona un amico della squadra e mi chiede se l’accompagno alla maratona di Roma, che era in programma il 12 marzo 1995. Aveva come obiettivo, cosa che non gli era ancora riuscita, di correrla in 2h e 59’. Gli dico che sono dispiaciuto, ma che la sciatica mi tiene fermo. Mi incita a riprendermi, tanto dice che c’è tempo (la telefonata era della fine di gennaio…). E mi dice anche che secondo lui io sono in grado di correre una maratona, pur infortunato, con quel tempo, visto i miei standard. Gli prometto di fargli sapere qualcosa, un sì o un no, dopo un paio di settimane…
C’erano due cose che mi spingevano a superare la difficoltà: il desiderio di essere utile all’amico e quello di visitare Roma… Poiché il percorso della maratona avrebbe toccato tutti i monumenti della città, sarebbe stata un’ottima occasione per visitarla…! Sarà stata la voglia di parteciparvi, o chissà cosa, ma dopo un paio di settimane, riuscii a correre per due ore a corsa lenta (a 4’ e 30” al km…) e capii di poter affrontare l’impegno, sia pure tenendo un’andatura prudente. Telefonai all’amico e gli dissi che sarei stato pronto, per quella gara, che saremmo andati a 4’ e 15” al km, che avremmo chiuso la maratona in 2h 59’ 19”, che avrebbe dovuto correre sistematicamente al mio fianco, che mi sarei occupato io dei rifornimenti, che lui doveva rimanere concentrato sul passo da tenere, che gli avrei detto i parziali ogni 5 km… Insomma, lo etichettai ben benino.
E così fu. Anzi, alla partenza, poiché lui era troppo trepidante e non faceva altro che fissare il suo cronometro, finsi (dopo un km…) che per errore gli avevo cancellato la memoria. In realtà, gliela cancellai, ma non in maniera accidentale. In questo modo, ottenni che lui dipese assolutamente da me.
Andò tutto secondo le previsioni, anzi, leggermente meglio. Ma l’esito fu deciso al… Pantheon…! La maratona partiva e arrivava al Colosseo. Ora, nei pressi del Pantheon, quasi all’ultimo km, si doveva percorrere una salitella acciottolata che è un’inezia, per i podisti… di una 10 km…; non così come si può facilmente comprendere per chi ha già corso per una quarantina di km…! Ebbene, in quel frangente, io “intensificai” il chiacchiericcio con l’amico, perché lo vidi affaticato, dicendogli che, svoltato l’angolo, avremmo visto il Colosseo sul fondo della strada. E cose di questo tipo: come si sa, la bellezza della maratona è soprattutto quando la si finisce. Però, mi girai e mi accorsi con stupore che l’amico non era al mio fianco: era a un centinaio di metri più indietro, fermo e con la testa che guardava il cielo romano… Corsi impazzito verso di lui! Diceva di non farcela più… Gli feci notare che eravamo all’ultimo km e che mancavano 6’ alle 3 ore…! Ma lui ripeteva inebetito che non ce la faceva più… Allora, mi arrabbiai e minacciai di picchiarlo, se non si fosse mosso! L’avrei fatto per davvero! Per fortuna (sua…), si mosse… e quando svoltammo e scorgendo in fondo alla strada il Colosseo, notai che gli si illuminarono gli occhi. Chiudemmo in 2h 59’ 26”…
“Grazie, Peppe…”, mi disse all’arrivo con un flebile filo di voce…
“Scusami”, io replicai felicissimo, “ho sbagliato di 7”…”