In ogni allenamento, i casi sono due
Stamattina non ho corso, così avevo deciso ieri sera. Però, ho avuto la ventura, nell’uscire di casa, d’incontrare un caro amico (anzi, carissimo) che terminava proprio in quel momento il suo allenamento. Ovviamente, come in questi casi, nel salutarlo e nell’andargli con affetto incontro, gli ho rivolto la parola:
“E chest’è…? Nun era meglio che to faciv’ ‘e suonno…?”
Mi ha risposto guardando il suo cronometro:
“Aggia fatto 10 km…, virimmo che asciut’…”
Al che io ho pensato quello che non gli ho detto e che adesso mi accingo a scrivere.
In ogni allenamento, i casi sono due: o si consegue il risultato che ci si era prefisso il giorno precedente l’allenamento, oppure no. Chiaramente, è meglio che il tempo che si realizza corrisponda più o meno alle aspettative, soprattutto se siamo podisti da molti anni, diciamo da almeno 20 anni… L’amico in questione mi ha parzialmente deluso. Non doveva dire…, “vediamo che è uscito”…, come se il tempo finale fosse stato il frutto del caso e non, come dovrebbe sempre essere, la pratica conseguenza di un’esperienza podistica consolidata negli anni, frutto cioè di un’esperienza maturata in tante corse, allenamenti e gare. Tutt’al più, ma su questo non mi sono intrattenuto (l’amico in questione era molto accaldato e sapevo che doveva andare a lavorare), poteva trattarsi di un allenamento svolto in progressione di velocità, laddove verificare con attenzione l’ultimo tratto assume un significato di un certo rilievo. Ma l’ho visto affaticato ed accaldato, per cui gli ho solo detto, sorridendogli con affetto:
“Scarzò, vatt’ a cagna’, ca fa fridd’ e staje tutt’ surat’…”