Pillole di saggezza podistica
Ho avuto pochi, ma buoni, maestri. Ho imparato tanto, ascoltando i loro consigli, che spesso erano riferiti con parole criptiche, non perché volessero risultare riservate o perché date mal volentieri, ma perché volevano suscitare in me la necessaria riflessione. Eccone un breve saggio.
“Quando corri non tenere i pugni chiusi all’altezza del petto”.
E’ vero, correvo tenendo i pugni alzati all’altezza del petto: lo avevo visto fare ai calciatori in allenamento e credevo si dovesse correre così. Non a caso, pensavo, essi hanno un allenatore, cioè un esperto di sport; e ne imitavo il gesto. Credo che tutti coloro che si siano avvicinati al podismo, provenendo dal calcio, abbiano avuto la mia stessa caratteristica.
“Prima di cominciare a correre, devi sapere quando misura il percorso”.
Non ha senso, mi si diceva, correre a vuoto. Bisogna conoscere la distanza che si percorre, anche per poter verificare il ritmo che si tiene, sia che si corra lenti sia che si corra veloci. Anzi, è meglio controllare il proprio ritmo ad ogni chilometro. A lungo andare, si acquisisce padronanza nei propri mezzi.
“Non serve pensare ‘io quella volta…’, il passato è passato e bisognava farlo quella volta”.
Mi si raccontò di quella volta, alla maratona di Torino, quando si fece 2h e 41’. Mi colpì quel… “io però quella volta…, eh, ormai…, potevo farlo quella volta…”, nel quale vidi tutto il rammarico per non aver insistito, per avere un po’ ceduto alla stanchezza e non aver reagito, magari pensando che ci sarebbe stata un’altra occasione per conseguire un tempo che si riteneva di valere. Da allora, ho cercato sempre di dare tutto, in gara, perché è vero: il passato non ritorna.
“Stai bene? Allora fermati!”.
Sulle prime mi sembrò una contraddizione. Ma come, stavo bene, vedevo i risultati tangibili di certi allenamenti e mi si diceva di fermarmi? Invece, era una grossa verità. Ho poi imparato, qualche volta a mie spese, che non si deve tirare troppo la corda. Può accadere che il nostro corpo sia in una condizione di ottimale condizione, proprio perché è stato tirato molto, ragione per cui ci si ritrova al limite massimo delle nostre possibilità oltre il quale non si può andare, pena lo spezzarsi dell’equilibrio. Come fare per capire il momento? Boh…? Forse quando ci sentiamo bene nel vero senso della parola, quando ci sembra che tutto sia possibile.
“Prima di imparare ad andare forte, si deve imparare ad andare piano”.
Anche questa affermazione mi sembrò strana, ma ne compresi abbastanza presto il senso. Avevo già imparato che per prepararsi bene ad una competizione, si deve prima costruirsi una base sulla quale “edificare” tutto il resto. L’esempio di una costruzione di una casa era il mio preferito: prima si pensa alle fondamenta, poi alle pareti e infine alle finestre. Quindi, prima corsa lenta e poi i vari ritmi. Il corpo deve prima imparare ad andare piano, che poi è anche facile imparare, e poi lo si può proiettare in altri ambiti specifici di allenamento.
“Io vado avanti a pasta e fagioli.”
Una volta chiesi come fare per andare più forte e poiché credevo che mi dovessi aiutare con qualche integratore domandai cosa prendere al riguardo. Mi venne detto come ho riferito, intendendo dire che alla base della forza di un podista c’è sempre la sana, corretta ed equilibrata alimentazione. Questa cosa, devo dire a mio merito, la capii quasi al volo, forse perché ne sono stato sempre intimamente persuaso. Comunque, sarà un caso, ma da allora quando mangio pasta e fagioli mi sembra di avere più forza…
“Quanno si martiell’, rall’; quanno si incudin’, statt’”.
Traduzione per i non napoletani: “Quando sei martello, dai; quando sei incudine, stai”. Traduzione per i podisti: quando ti senti bene e ti trovi nella condizione di poter spingere, fallo; quando invece, per svariati motivi, non sei al meglio delle tue possibilità, pazienta. Sembra facile mettere in pratica questo consiglio, ma non lo è. Spesso l’indecisione la fa’ da padrona in ambedue i casi; e il buon podista si rileva nella scelta che opera nella precisa circostanza.