Il ritorno alla natura
“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”, cantava un tempo Antonello Venditti. E’ quello che abbiamo pensato, scorrendo un vecchio calendario gare dalla rivista Correre datato 1988, tutto sommato, quando il fenomeno del podismo italiano era nella sua fase iniziale. Quasi tutte le gare si proponevano essenzialmente di fare avvicinare le persone alla corsa, vista come un modo di migliorare il rapporto con sé stessi e la natura, di fare avvicinare le persone ad una attività sportiva all’aria aperta in piena libertà e senza tante velleità agonistiche, con il solo scopo di muoversi e divertirsi, magari ampliando le sfere delle proprie amicizie in piena allegria.
Le intestazioni delle gare davano subito il senso di quello che era richiesto. In maggioranza erano “passeggiate”, “scarpinate” e avevano un chilometraggio adatto ad… ogni esigenza: 12, 15, 20 km. Non c’era quindi la netta divisione di gare come oggi conosciamo, fra le cosiddette 10 e le mezze, a parte qualche maratona (di cui ancora si sentiva la necessità di specificare l’esatta lunghezza) e di alcune 100. Ora invece, per fortuna, visto che il movimento podistico è molto cresciuto negli ultimi vent’anni, il calendario gare oltre ad essere notevolmente più nutrito (si gareggia tutte le domeniche e in più di una località, mentre in passato era già molto se si disputava una gara al mese) e nettamente diviso fra le 10 km, le mezze maratone e le maratone, con qualche gara ultra di 50 e più km.
Stanno però aumentando moltissimo le gare trail, un tempo completamente sconosciute. C’erano i cross, è vero, oppure il trekking. Ma mentre il primo era una corsa circoscritta a degli specialisti e inserita in un contesto di spazio limitato, la seconda non era neanche una passeggiata, cioè una corsa non esasperata però con una partenza ed un arrivo, era una semplice escursione, e basta. Oggi invece assistiamo ad un pullulare di gare trail, appunto, che è tutto sommato un “ritorno alle origini”, quel bisogno di riassaporare il contatto con la natura innato e istintivo nell’uomo moderno, sempre stretto nella morsa delle lamiere e del cemento in un cui è costretto a vivere. Assistiamo perfino al nascere di organizzazioni specializzate ad organizzare circuiti trail con gare a più tappe ed atleti, alcuni dei quali veramente di livello, che si dedicano esclusivamente a quella che è diventata una vera e propria categoria a parte dell’atletica leggera, con una denominazione e un’autonomia propria; l’ITRA (International, Trial, Running, Association).
E’ successo quello che si verifica sempre negli accadimenti umani, la circolarità delle cose, o se vogliamo dirla in un’altra maniera, corsi e ricorsi storici. Ad una fase iniziale che potremmo definire pionieristica, ne segue un’altra di espansione, di crescita. Successivamente, la parabola ascendente tende a scemare, fino ad incurvarsi verso il basso per tornare al punto di partenza di uno zero immaginario. Cioè, si parte dalla natura e poi sempre a lei si ritorna. Per fortuna.
Perciò guardiamo con simpatia al fenomeno trail, proprio per questo motivo, che sta poi alla base della sua crescita esponenziale, per l’ineluttabile dimostrazione che lo sport, e quindi anche il podismo, deve rispondere al bisogno ancestrale dell’uomo di essere parte integrante della natura.