Lo stretching del gatto
Albert Camus diceva che quello che aveva imparato dalla vita lo doveva al gioco del calcio (il grande scrittore francese, in gioventù, era stato portiere…). Molto più modestamente io, quello che ho imparato dello stretching, lo devo al mio gatto. Lo vedevo (anzi, la vedevo, era una gattina, ora è morta…, dopo 18 anni…) dormire placidamente sul divano fino a tarda ora. Poi, d’improvviso, quasi per magia, apriva un occhietto, controllava se io la osservavo, lo richiudeva e per qualche istante sembrava tornasse a dormire. Ma non era vero, lo sapevo. Dopo qualche secondo sbadigliava (sembrava una tigre, con quelle… fauci), s’inarcava enormemente, stendendo e allungando le zampette anteriori in avanti, per un certo numero di secondi e tornava… nella sua condizione di riposo. Vi assicuro che ripeteva questo gesto più volte, come se facesse una serie in palestra. Dopodiché scendeva dal divano, non prima di aver scosso la testolina con rapidi gesti a destra e a sinistra e aver teso le zampette, una ad una, come se effettuasse un calcio in aria. Una volta scesa, restava ferma e ripeteva il tutto: l’inarcamento, il movimento rotatorio della testolina e le zampette calciate in aria. Infine, veniva verso di me, perché voleva mangiare. Il suo passo era flessuoso e morbido ed io l’accarezzavo, mentre lei miagolava leggermente e si strofinava sotto la mia mano.
Ho spesso pensato, e messo in pratica, questo suggerimento: quando un podista si prepara per la corsa dovrebbe fare precedere l’allenamento con qualche minuto di stretching. Qualcuno ritiene si debba farlo dopo, perché i muscoli sono ben caldi e si possono allungare più facilmente. Dotta e inoppugnabile considerazione che non sono in grado di dissentire, però ho qualche mia riserva che ora esporrò. Intanto, come tutti i podisti di questo mondo sanno, la parola “stretching” significa “allungamento” e infatti nella corsa riveste un’importanza determinante che i muscoli siano ben allungati, sia per l’efficienza muscolare in sé, sia per la mobilità articolare e quindi per la scioltezza del gesto. Ma dopo l’allenamento, a mio parere, o si fa’ il defaticamento o lo stretching; entrambe le operazioni sarebbero mirate al recupero delle fibre muscolari che si sono logorate durante l’esercizio, però solo la prima è specifica, mentre la seconda potrebbe significare, nel suo piccolo, un elemento di ulteriore stress per le fibre muscolari, anche se svolto in maniera molto blanda.
Il corpo umano è paragonabile all’automobile ferma tutta la notte nel garage: l’accensione del motore è lo stretching, la messa in moto è il riscaldamento, sulla strada è l’allenamento. L’esempio indicato, naturalmente, si rifà alla tipica situazione del podista mattiniero e “stradaiolo”. Ben diversa, logicamente, è il caso di chi si allena al pomeriggio, o di sera, o perfino su pista. Comunque, dovrebbe sempre valere la regola di concepire lo stretching come la primissima fase del riscaldamento, diciamo pure un “riscaldamento da fermo”. Ma, in definitiva, perché è così importante lo stretching? Per almeno due motivi: 1) migliora l’estensibilità muscolare e come conseguenza il rendimento dell’allenamento; 2) previene gli infortuni a carico dei comparti ostei-muscoli-tendinei. Per quanto tempo bisogna farlo? Parafrasando il titolo di un famoso testo, “a ciascuno il suo”, nel senso che ogni singolo podista “deve sentire” il tempo che gli occorre prima di iniziare la fase successiva per cominciare a correre, cioè il riscaldamento. Ma un dieci minuti, nella maggioranza dei casi, possono bastare. Ecco perché io mi sveglio al mattino un’ora abbondante prima che cominci a correre veramente: faccio con calma il mio stretching e… tutte le altre cose necessarie. Ritengo sia meglio dormire mezzora in meno che correre in maniera contratta. E come si fa’ lo stretching? Bisogna seguire una tecnica particolare? Se lo si vuole fare in maniera accurata e specifica, bisogna farlo in palestra, diciamo così. Se invece vogliamo che sia per noi una pratica quotidiana, e anche un po’ piacevole, elimineremo dal nostro intento lo stretching di flessibilità senza fase statica e quello propriocettivo neuromuscolare. Il primo richiede che gli esercizi vengano svolti in movimento, il secondo che ci sia un partner insieme a noi. Invece, noi faremo lo stretching in fase statica, quello cioè che prevede l’allungamento del muscolo sino a creare un certo disagio (lieve), con il mantenimento della posizione raggiunta per un periodo al massimo di 30”, per poi ritornare a quella di partenza. E non ci limiteremo alle sole gambe, ovviamente: troveremo il modo (e il tempo) per “muovere” anche braccia e schiena, perché dobbiamo “svegliare” il nostro corpo, solo questo.
Ecco, l’ho detto: lo stretching deve solo “svegliarci”. Come faceva la mia gattina….