Piccolo accorgimento per migliorare l’appoggio
Ormai, la mia è una mania: vedo appoggi sbagliati quasi dappertutto…, podisticamente parlando. Va’ bene che ognuno ha il suo stile di corsa particolare e che nessuno può e deve interferire in una peculiarità assolutamente soggettiva. Ma eccepisco solo sull’appoggio del piede, non su altro, non sull’oscillazione delle braccia, sulla posizione del busto, sull’ampiezza della falcata, eccetera. A mio modesto parere, dall’osservazione continua dei podisti, in gara o in allenamento, si evince che si è perfino snaturato il gesto dell’appoggio del piede. Tutti, o quasi tutti, poggiano di tallone, non di avampiede. Perfino le case costruttrici di scarpe sportive non fanno altro che proporre nelle varie versioni modelli che immancabilmente presentano (ostentano) rinforzi alla base della conchiglia, veri e propri spessori che, dicono, “ammortizzano” i colpi; ragione per cui i podisti si convincono sempre di più che così debba essere la calzatura podistica, ergo l’appoggio. E allora, come novello Don Chisciotte, combatto contro questa forma di mulini a vento, nella speranza che si possa aprire uno squarcio d’interesse sulla faccenda.
E’ inutile, o almeno dovrebbe essere così, ricordare che il movimento della corsa, cioè lo spostarsi più o meno velocemente in avanti, debba essere giustificato dalla spinta di un piede e da un altro che si predisponga a fare altrettanto nel minor tempo possibile. Ebbene, come tutti i podisti sanno perfettamente, la spinta che trasmette il tallone è rivolta in alto (come nel salto) e quindi è nella zona dell’avampiede che deve avvenire “la sveltezza del movimento”, che è in avanti. Ma allora perché i podisti si ostinano a poggiare di tallone? Son tutti stupidi? No, sono tutti pigri… Essi sono, prima di tutto, rivolti verso la cosiddetta “economicità” della corsa e credono che atterrando di tallone facciano meno sforzi. Poi, sono in genere in leggero (a volte “notevole”) sovrappeso, per cui tendono a risparmiarsi la fatica di alzare il ginocchio, per favorire il sollevamento del piede e l’appoggio naturale nel gesto della corsa. In quest’ultimo caso, vanno in avanti di… tibia, magari anche velocemente, e credono in questo modo di ovviare, di essere perfino furbi. Salvo poi ricredersi per quanto concerne i futuri dolori alle articolazioni. Ma tant’è, questa è la situazione. Come porvi rimedio?
Un rimedio ci sarebbe: “costringere”, nel vero senso della parola, il podista ad alzare le ginocchia e quindi a poggiare di avampiede. Come si può “costringere” il podista? In due tipi di allenamento: nel primo, con le scale; nel secondo, con le salite. Avete mai visto i podisti poggiare di tallone correndo sulle rampe di scale o inerpicandosi in salita? E mai li vedrete… Però, il problema è che le scale rappresentano un tipo di allenamento “breve” e le salite “lungo”. Nelle scale, per quanto numerosi siano gli scalini, si tratterà sempre di un minuto al massimo di corsa, intervallata dall’inevitabile e rapida discesa; una sorta di ripetute. Mentre la salita, corta o lunga che sia, costituirà sempre un intervallo di tempo consistente, per affinare e studiare il gesto dell’appoggio, una specie di corsa media; magari con la discesa che non sarà più allenante, tanto da poterla effettuare… perfino in macchina. Ragione per cui, questo particolare tipo di allenamento, andrebbe inserito in modo alterno uno a settimana. Naturalmente, si deve avere la costanza di aspettare almeno un paio di mesi, prima di notare qualche miglioramento in tal senso. E di avere il buon senso di usare, nei due casi proposti, sempre e solo le scarpe A2, che hanno un rialzo al tallone molto ridotto rispetto alle A3 o alle A4.