Quell’esaltante sensazione di onnipotenza
I pericoli che “corre” il podista sono tali e tanti che forse un giorno ne cureremo l’elenco; aspetti e situazioni che afferiscono spesso la sfera psicologica, come se non bastassero quelli riferibili alla condizione prettamente fisica… Si potrebbe perfino avere l’ardire di parafrasare il detto evangelico “le vie del Signore sono infinite”…! Ma il pericolo più subdolo, quello che meglio si “traveste”, per dirla alla maniera religiosa, come un diavolo tentatore perché il podista se lo trova camuffato sotto le sembianze della piena efficienza fisica, è “l’esaltante sensazione di onnipotenza” che sopravviene subito dopo l’inizio di una gara.
E’ una sensazione che avvertono tutti i podisti, dai più veloci a quelli meno, a parte coloro che partono già in condizioni non ottimali, o perché reduci da infortuni, o perché consapevolmente sovraccaricati da lavori per un impegno agonistico programmato per un prossimo futuro. Fatto sta che la stragrande maggioranza dei podisti che partono in una gara, trascorsi pochi metri e secondi, avvertono dentro il proprio corpo la certezza di “star bene”: le gambe girano senza sforzo apparente, il respiro è normalissimo, come se si fosse fermi, e ci si sente leggeri, molto leggeri. Cosa sta avvenendo? Adrenalina, certo, ma non solo.
Non bisogna farsi fuorviare. A pochi metri dalla partenza, è facile che le caratteristiche fisiche siano al massimo della loro espressione: sono state allenate per resistere svariati chilometri ed ora, dopo appena due o trecento metri, scalpitano, per così dire, avendo in serbo una tale riserva di energia che sembra straripi. Contemporaneamente e abbastanza inconsciamente, subentra un’intima convinzione che, magicamente, proprio in quell’occasione, si sia trovato il giusto equilibrio fra allenamenti svolti ed esperienza podistica maturata, per cui è possibile pensare di essere in forma e di poter sostenere, magari in quest’unica occasione, un ritmo che mai si pensava avessimo potuto sostenere. E, si pensa, se verso la fine della gara dovessimo sentire i “morsi” della fatica, embè vorrà dire che stringeremo i denti; e questo ce lo ripromettiamo nella maniera più solenne e sincera, certi, anzi certissimi, di riuscire nell’impresa. Tutto avviene in un attimo. E le gambe si fanno ancora più leggere…, e ci si inoltra con deciso entusiasmo in una sfera magica di esaltazione, in cui già si vede quel tempo cronometrico che si insegue ormai da tanto tempo.
Purtroppo, la realtà podistica è sempre un po’ diversa da quella dell’immaginazione: essa si basa sulla volontà, ma ne reclama continuamente l’adesione alle effettive e pratiche capacità, pur bene allenate e preparate. Non si deve mai verificare uno scollamento fra corpo e mente, tale da determinare quello che alcuni definiscono “salto nel vuoto”: prima o poi il corpo presenta il conto, mentre la mente in questo latita. Siamo autorizzati a pensare che, poiché è in definitiva il corpo a correre, esso senta molto prima della mente, che è eterea e in un certo senso perfino esterna al corpo, il contatto con la realtà e che quindi di conseguenza senta in anticipo la fatica materiale dell’organismo impegnato nella corsa.
Sarebbe meglio “padroneggiare” questa sensazione iniziale di onnipotenza, quando ci sembra che tutto sia possibile. Come? Non credendo totalmente alla sensazione…, fingere di utilizzarla, ma farlo non al massimo delle potenzialità, pensando di conservarne una piccola percentuale per il finale… Si chiama “esperienza”.