Una terapia da “ultima spiaggia”
Già dai tempi di Ippocrate e Galeno, i primi e classici medici della storia, il sangue era giustamente ritenuto un elemento vitale del nostro corpo, nel senso che racchiudeva al suo interno proprietà e capacità curative. A questo devono aver pensato i medici ricercatori di quella che sembra essere una terapia da “ultima spiaggia”, a quando cioè coincidono infortuni che tardano a risolversi e tentativi innovativi di tipo terapeutico.
Lo studio parte dalla considerazione che vi sono tessuti abbondantemente vascolarizzati come i muscoli che godono degli elementi contenuti nel sangue proprio quando subiscono un danno. Così, per tale fisiologica condizione, i processi di cicatrizzazione sono rapidi ed efficaci. Invece, altri tessuti come i tendini e le cartilagini sono poco vascolarizzati e perciò i loro tempi di autorigenerazione tempi risultano molto più lenti e qualche volta perfino inefficaci.
Si è pensato che l’utilizzo diretto di una frazione di sangue, iniettata localmente, possa costituire un trattamento molto efficace ai fini rigenerativi. E qualche risultato in questo senso ottenuto autorizza ad essere ottimisti.
Ma, in concreto, in che consiste questa pratica? In termini pratici, consiste nel prelievo di una frazione di sangue, nella sua centrifugazione, nella separazione della frazione piastrinica, nella sua attivazione a mezzo di cloruro di calcio per liberare i fattori di crescita contenuti nelle piastrine e nella reiniezione locale nella sede della patologia. Il metodo quindi è assolutamente naturale e non ha alcun effetto collaterale.
Ovviamente, questa pratica è ambulatoriale e non prevede ricoveri, ma la metodologia di separazione della frazione piastrinica deve rispettare rigorosi canoni di sterilità e a tale proposito possono rilasciare concessioni solo centri trasfusionali accreditati. Per quanto concerne invece i dosaggi e le frequenze delle sedute, le diverse patologie possono richiedere protocolli disparati. Genericamente parlando, se il preparato viene iniettato in sede articolare, la frequenza della terapia può essere settimanale, mentre in una sede come il tendine, allora la frequenza può essere ragionevolmente quindicinale.