Nel podismo, di quanto tempo ha bisogno un ricordo per diventare tale?
Per chi come me, podista attempato, ha da molti anni superato le varie categorie degli “anta”, può capitare (anzi, capita spesso, forse troppo…) di andare con la mente a gare e allenamenti del passato talmente multiformi e significativi da trovare alquanto bizzarro riunirle in un solo termine: ricordo. Ma cos’è un ricordo? Quando una cosa del passato si può definire a pieno titolo ricordo? Quanto tempo (mesi oppure anni) deve trascorrere, affinché si possa parlare di ricordo? Esistono ricordi di serie A e di serie B?
Insomma, sfogliamo un vocabolario… “E’ una situazione del passato”, penso quando mi accingo ad aprirne uno e, letta la prima definizione, ho centrato abbastanza l’argomento… Però, mi è bello sottolineare che l’etimologia del termine viene dal latino “recordari”, composto di “re” e “cor= cuore”; per cui, letteralmente vuol dire “rimettere nel cuore”, considerando perciò il ricordo quale sede della memoria. Trovo sia bella questa definizione, perché a mio parere distingue bene fra ricordo, di un singolo avvenimento, e memoria, che è l’insieme di tutti gli avvenimenti. E noi, esseri umani, che abbiamo deciso che la sede del ricordo è il cuore, abbiamo stabilito una gerarchia affettiva per cui il ricordo, per l’appunto, è sempre bello, a differenza della memoria, che può essere brutta. Così capiamo perché noi podisti, io per primo, quando “ricordiamo” una situazione podistica del passato, siamo pervasi da una certa dolcezza, che nessuno ci può togliere; anzi, che noi possiamo perfino regalare a chi ci ascolta o a chi ci vede.
Ma torniamo alla nostra domanda iniziale: di quanto tempo ha bisogno un ricordo per definirsi tale?
Arrivati a questo punto, la risposta risulta abbastanza inutile. Non c’è un limite temporale che stabilisca il tempo occorrente a far maturare un ricordo degno di questo nome. Siamo solo noi, con la nostra sensibilità, per le cose che abbiamo appena detto, a stabilirlo: perché… al cuor non si comanda…!